Aerospazio, così l’Europa riesce a fare sistema

MONDO. Se vogliamo capire dove spinge il vento dell’europeizzazione forzata occorre guardare all’aerospaziale. È qui dove si misura la capacità di resilienza del sistema europeo. Sono i satelliti che controllano le nostre comunicazioni.

Senza l’aiuto americano nella precisa definizione satellitare degli obiettivi, difficilmente sarebbe riuscito agli ucraini di colpire punti nevralgici della difesa russa. E anche noi in Italia abbiamo dovuto constatare che senza i satelliti di Elon Musk, le comunicazioni sensibili del nostro sistema sono esposte ai cyber-attacchi provenienti dall’esterno. Una situazione insostenibile perché di fatto rimette la sovranità del Paese in mano ad un privato coinvolto nei mille giochi di potere della presidenza Trump.

Emanciparsi da Starlink

Un principio che vale per l’Italia così come per gli altri Paesi europei. Ecco perché i tre grandi gruppi europei Airbus, Thales e Leonardo hanno firmato giovedì, l’altroieri, un accordo di intesa per la costituzione di una joint-venture alla quale si demandano le attività spaziali dei tre gruppi. Questo vuol dire che le nazioni coinvolte Germania, Francia e Italia rinunciano alla propria sovranità nel settore per convogliare le proprie forze a partire dal 2027 in un unico soggetto europeo. L’obiettivo è emanciparsi dal potere di Starlink. Solo la cogenza della minaccia americana ha costretto nazioni come la Francia a rinunciare all’arroganza della «grande nation».

La maggioranza del nuovo gruppo è per il 35% di Airbus poi a seguire Thales con il 32,5% e Leonardo sempre con il 32,5%. Ora siccome Airbus è per metà francese e per l’altra metà tedesca, ne discende che sono i transalpini all’interno dell’azionariato complessivo a godere di un vantaggio. Il che spiega anche la sede scelta. Sarà su territorio francese. Già con Airbus, benché i tedeschi apportassero un contributo di conoscenze e competenze unico, si scelse Tolosa come base strategica. Questa volta però cambia il quadro di riferimento. La presenza di Leonardo con un rilevante pacchetto azionario sposta gli equilibri interni e costringe i francesi a concessioni sulla governance. Dovrà essere condivisa. Niente diktat del genere dell’aereo europeo di sesta generazione che dovrà sostituire F35 JSF della Lockheed Martin. Il costruttore aeronautico transalpino Dassault voleva a tutti i costi la direzione dei lavori del Future Combat Air System (Fcas), al che i tedeschi hanno risposto picche. Adesso la Germania deve ripartire da zero e già ha bussato alla porta di Downing Street. Nel frattempo però gli inglesi si erano dati da fare per allestire con giapponesi e italiani un progetto in concorrenza con quello fino a ieri in gestazione dei franco -tedeschi. Il Global Combat Air Programme (Gcap) è gestito in modo equilibrato ed ogni nazione è rappresentata in parti eguali al 33,3%, la gestione è condivisa, la sede è in Gran Bretagna ma l’amministratore delegato è italiano, Marco Zoff, il figlio del portierone Dino.

I ritardi europei e i litigi nazionali

Entrare nel progetto per i tedeschi può diventare complicato, anche perché mentre gli europei sono ai preliminari gli americani di Lockheed Martin hanno già annunciato per il 2028 il nuovo aereo che sostituirà l’F35 di quinta generazione. I ritardi del Vecchio Continente si misurano non per imperizia tecnica ma per litigi nazionali. È la zavorra che pesa su ogni azione comune in Europa. L’Italia di questa condizione di litigiosità se n’è fatta una ragione e pragmaticamente sceglie i progetti europei quando il suo ruolo di terza nazione per Pil e peso industriale è garantito.

Altrimenti si volge al di fuori dell’ambito Ue e abbraccia progetti come quello del Gcap che le garantiscono autonomia e cogestione paritaria. La nuova alleanza spaziale ridimensiona le pretese della Francia, allarga il perimetro europeo e rende possibile la presenza italiana in un progetto che determina la sovranità futura dell’intera Unione europea.

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