Al Quirinale una figura
non di parte basta ipocrisie

Draghi? Berlusconi? Amato? Gianni Letta? Prodi? Rosi Bindi? Casini? Il decadimento della politica si vede anche nel dibattito surreale sulle prossime elezioni del presidente della Repubblica, tra meno di due mesi (il mandato di Mattarella scade la notte del 31 gennaio 2022). Le fibrillazioni del Transatlantico, recentemente riaperto dopo la pausa Covid, di cui la stampa riporta fedelmente i «rumours» - per poi trasformarli in analisi e commenti dei soliti ben informati - rivelano una grande confusione istituzionale. Forse sarà il caso di chiarire la posta in gioco, prima di fare il solito toto-nomi, partendo dalla Costituzione, questa sconosciuta.

Innanzitutto va detto che i costituenti, con la loro ben nota «presbiopia istituzionale» hanno previsto che il Capo dello Stato fosse una figura di rappresentanza e non di parte. Deve tenere insieme maggioranza e opposizione, centrodestra e centrosinistra. Deve sfuggire ai veti incrociati che giungono da tutte le parti come le frecce acuminate dell’assalto a Fort Apache. Per questo la sua elezione nelle prime tre chiamate prevede i due terzi degli aventi diritti al voto per poi «accontentarsi» della maggioranza assoluta (il 50 più uno degli aventi diritto al voto). Già da queste norme possiamo scartare un candidato «politico», particolarmente divisivo, buono tutt’al più a far da pennacchio per le prime sedute, quando ancora i giochi non sono fatti.

Per capire chi è il prossimo Capo dello Stato, più che alla politica, bisognerebbe guardare al suo ruolo istituzionale, sfrondando tutte le ipocrisie e le corbellerie che circolano in questi giorni. Non è vero ad esempio che è ancora presto per parlarne, ostentando benaltrismo (c’è la Manovra e il Pnrr, altro che Quirinale!), come fa qualcuno. Febbraio 2022 è dietro l’angolo e non c’è nulla di più importante del rinnovo di un protagonista della vita istituzionale come il presidente della Repubblica. Tutt’altro che un «notaio» del gioco politico. A parte l’autorevolezza della sua «moral suasion» il Capo dello Stato presiede il Governo dei giudici (e a questo proposito è lecito chiedersi se Berlusconi con i suoi processi e le sue condanne in giudicato, al di là del suo ruolo politico che è per forza di cose divisivo, un po’ come quello di Prodi e della Bindi, può svolgere questo ruolo).

Inoltre il Capo dello Stato comanda le forze armate in caso di guerra (cosa che, scriveva un costituzionalista, lo rendeva più simile addirittura a un monarca), ha il potere di sciogliere le Camere, nomina un terzo dei giudici costituzionali, autorizza la presentazione dei disegni di legge governativi, può concedere grazia e commutare pene, oltre che svolgere numerose funzioni di regolazione del potere esecutivo e parlamentare. I suoi poteri sono detti «a fisarmonica»: poiché, quando la situazione lo impone, ha la facoltà di sbloccare lo stallo politico anche con atti piuttosto imperiosi, come è avvenuto nel 2011 da parte di Napolitano, con la nomina a senatore a vita e contemporaneamente di capo del Governo di Mario Monti per fare fronte alla tempesta finanziaria in cui il debito sovrano era precipitato. Altro che «tagliare nastri e dire quattro battute a Capodanno» come ho sentito dire a un direttore di quotidiano che passa per la maggiore.

D’altro canto non gli si possono attribuire poteri che non ha, come il semipresidenzialismo alla francese. Eppure c’è stato chi ha sostenuto una cosa del genere a proposito di Draghi, come se si potesse derogare alla separazione dei poteri. SuperMario sarà anche SuperMario, ma non può governare e gestire il Pnrr dal Quirinale. Una cosa è il governo un’altra è la presidenza della Repubblica. La Costituzione non è Topolino. Per capire chi sarà il prossimo presidente della Repubblica forse sarebbe meglio ripercorrere la prassi istituzionale, prima di sparare nomi alla rinfusa.

Pur con le sue innovazioni. La regola vorrebbe che dopo un cattolico toccasse a un laico anche se non sempre questa tradizione è stata rispettata. Inoltre ci si chiede se non sarebbe il caso che fosse finalmente una donna a salire sul Colle dopo dodici uomini. Se non ora, quando? L’età minima, come è noto, è 50 anni, ma allora, quando la Costituzione fu promulgata l’aspettativa di vita era di 65 anni. Oggi, facendo una semplice proporzione (si vive in media fino a 85 anni e più), l’età minima dovrebbe salire di circa 10 anni. E i nomi? A questo punto ci si può sbizzarrire ma sempre seguendo paletti ben precisi: una figura di garanzia, di alto prestigio istituzionale, in grado di elevarsi sopra le risse quotidiane dei partiti, di mezza età ma possibilmente non di età venerabile (Amato ha 83 anni, Gianni Letta 86, lunga vita, ma il Quirinale non sempre è un gerovital), auspicatamente donna. Chi scrive ha in mente un nome ben preciso ma naturalmente se lo terrà per sé fino al giorno dell’elezione. Ai lettori l’ardua sentenza sul «rebus» presidenziale.

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