Alleanza tra imprese
e lavoratori: si vince la crisi

Sapere che l’Italia è tra i Paesi di antica industrializzazione che quest’anno cresceranno di più fa bene al morale ma per varie ragioni non consente di sedersi sugli allori. La nostra è infatti una delle economie che ha perso più terreno durante la pandemia e soprattutto nei due decenni pre pandemia, dunque ha molto da recuperare rispetto alle altre. Inoltre, alla luce di alcuni fondamentali (alto debito pubblico e bassa produttività totale dei fattori, per esempio), non è scontato che l’attuale ritmo di crescita sia sostenibile. Detto ciò, sono ben più rassicuranti i dati appena pubblicati dall’Istat sullo stato di salute del mercato del lavoro e delle imprese. Nel secondo trimestre 2021, gli occupati in Italia sono 22 milioni 785 mila, cioè 523 mila in più rispetto a un anno fa. La crescita delle posizioni lavorative si è concentrata nelle costruzioni e nei servizi. Sempre l’Istat, qualche giorno fa, aveva pubblicato alcuni dati incoraggianti anche sulla «demografia d’impresa», vale a dire sul numero di registrazioni di nuove aziende e di fallimenti di aziende esistenti.

Cosa ne emerge? Le aperture sono cresciute del 3,2% rispetto al primo trimestre, tornando quasi ai livelli pre-Covid, o addirittura superando quei livelli in settori come le costruzioni, i servizi di informazione e comunicazione, le attività finanziarie, immobiliari e professionali. Le statistiche sui fallimenti sono in miglioramento ma rimangono meno positive rispetto al 2019; tuttavia non descrivono per il momento una situazione fuori controllo. Creazione di nuovi posti di lavoro e nascita di nuove imprese, dunque, procedono di pari passo. Sarà scontato ribadirlo ma questi dati confermano - con concretezza maggiore rispetto all’andamento del Pil - che il lavoro non si crea per decreto o attraverso gli strepiti ideologici.

Ogni riferimento alla gestione abituale delle crisi industriali italiane è puramente voluto. Ieri, anche su questo fronte, c’è stata una novità degna di nota. Ricorderete il caso della Gkn di Campi Bisenzio, l’azienda che avrebbe comunicato ai lavoratori in modo non ortodosso (via email) l’apertura della procedura di licenziamento collettivo? Il Tribunale di Firenze si è espresso a favore del ricorso presentato dalla Fiom-Cgil. Il giudice del lavoro ha condannato la Gkn a «revocare la lettera di apertura della procedura ex L. 223/91», e a «porre in essere le procedure di consultazione e confronto previste dall’art. 9 parte prima Ccnl e dall’accordo aziendale del 9 luglio 2020». Secondo il tribunale, «il comportamento antisindacale accertato è consistito, nella sua parte più significativa e lesiva degli interessi del sindacato ricorrente, nell’aver impedito al sindacato stesso di interloquire, come sarebbe stato suo diritto, nella delicata fase di formazione della decisione di procedere alla cessazione totale dell’attività di impresa». In altre parole, il Tribunale ha sanzionato l’assenza di un confronto preventivo col sindacato previsto dalla legge, più che le modalità di trasmissione di un messaggio che avevano destato tanto scalpore. E mentre col passare delle settimane sembra essersi già smorzato l’impeto legislativo di alcuni che invocavano chissà quali norme draconiane anti-delocalizzazioni, il Tribunale di Firenze ricorda a tutti noi che le regole per reprimere certi abusi già ci sono e vanno fatte rispettare.

Ingigantire con la retorica la conflittualità tra imprenditori e lavoratori danneggia soltanto la nostra immagine agli occhi degli investitori stranieri, distrae il confronto pubblico dalle vere priorità (vedi politiche attive), e in definitiva mette i bastoni tra le ruote a quell’alleanza di fatto tra imprenditori e lavoratori che è l’unica a poterci tirare fuori dalla crisi.

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