Aumento delle spese militari: l’azzardo dei 5 Stelle può costarci carissimo

Come sempre accade nei momenti più difficili, Mario Draghi è salito al Quirinale per consultarsi con il Capo dello Stato. Motivo: con i 5 Stelle si è aperta una crisi sulla questione dell’aumento delle spese militari. Breve riepilogo: nel 2014 l’Italia, come tutti gli altri Paesi europei membri della Nato, ha accettato di portare le sue spese per la Difesa al livello del 2 per cento del Pil. L’impegno è stato sempre confermato dai vari governi che si sono susseguiti da allora, compresi dunque il Conte I a trazione destra e il Conte II a trazione sinistra.

Anzi, durante i governi di Giuseppe Conte l’aumento delle spese militari è arrivato al 17 e passa per cento, assai di più di quanto fatto da Draghi nel suo primo anno di governo. Per ribadire questo impegno, qualche tempo fa alla Camera fu presentato un ordine del giorno disciplinatamente votato da tutti. Nel frattempo a Montecitorio è stato varato e votato quasi all’unanimità il decreto che autorizza il governo ad aiutare l’Ucraina anche inviando armi per difendersi dai russi invasori. Ieri al Senato, su iniziativa di Fratelli d’Italia, il partito di opposizione che sulle vicende ucraine è allineato al governo, è stato presentato un ordine del giorno che ribadisce l’impegno all’aumento della spesa per l’esercito. Colpo di scena: i grillini non lo volevano votare più. Cosa era successo?

È successo che Giuseppe Conte, dovendosi far rieleggere alla guida del movimento perché la sua precedente nomina era stata annullata dal tribunale di Napoli, ha usato come cavallo di battaglia della sua campagna elettorale il «no alle armi». Non che questo sia accompagnato da un «no agli impegni con la Nato», no, però quasi. Una volta rieletto, Conte è andato a palazzo Chigi da Draghi a spiegare questa sua posizione: «L’aumento non è una priorità».

Draghi gli ha detto a brutto muso: se insistete, il governo cade. Probabilmente ha aggiunto: oppure il governo va avanti senza un pezzo di voi (Di Maio e i suoi non se ne andrebbero): ma di questo non abbiamo le prove. Nel frattempo, grazie ai regolamenti del Senato, il voto sull’ordine del giorno di Giorgia Meloni è stato evitato per un soffio: il governo ha «fatto proprio» il documento e quindi non c’è stato bisogno di votare. I grillini hanno protestato perché avrebbero voluto una spettacolare spaccatura della maggioranza da esibire come dimostrazione di essere ancora un partito che conta qualcosa, ma l’abilità della presidente della Commissione Difesa Pinotti (Pd) ha sottratto loro questa soddisfazione. Domani pomeriggio si vota al Senato anche il decreto Ucraina già approvato dalla Camera che incorpora l’ordine del giorno di ieri: cosa faranno i grillini? Draghi sarà costretto a mettere la fiducia per riportarli in riga?

Di tutto questo ha parlato il presidente del Consiglio con Mattarella. I due vertici della Repubblica su un punto non transigono: l’Italia non viene meno ai suoi impegni internazionali. Tanto più adesso, con la guerra ai confini, con la Germania che si riarma per 100 miliardi, con l’Ucraina che ci coinvolge nel gruppo che dovrebbe garantire la sua sicurezza, con l’idea di un’Europa che deve far fronte ad una Russia minacciosa e una Nato che si è ritrovata compatta… C’è da sperare che abbia ragione il senatore Casini secondo il quale quella dei grillini è «una bufera in un bicchier d’acqua», agitata più che altro per dimostrare di essere ancora il partito di maggioranza relativa che conta qualcosa nel governo e sa come battere i pugni sul tavolo. Però per avere questa dimostrazione di «stato in vita» di un movimento boccheggiante, Conte sta provocando un duro scontro con Draghi che potrebbe avere conseguenze internazionali tutte a nostro discapito. Un gioco sempre molto pericoloso.

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