Cambiamenti climatici le risposte da rilanciare

MONDO. Il sostegno politico ai cambiamenti climatici è venuto meno. Questa l’amara constatazione del premier britannico Keir Starmer.

E ciò è dovuto non solo all’imperversare del ciclone Trump sulla politica internazionale ma anche ai costi sempre più elevati per contrastare eventi così globali e catastrofici. Risultato: l’umanità è in ritardo sull’applicazione delle intese fin qui concordate. Come ogni anno in questo periodo, l’Onu organizza la Cop, «Conference of the parties», per fare il punto sulla situazione. In passato questi appuntamenti sono serviti per concordare a livello planetario nel 2015 l’Accordo di Parigi, bussola per contrastare i cambiamenti climatici. A Belém, ai margini dell’Amazzonia, uno dei «polmoni» del mondo, i brasiliani padroni di casa tenteranno soprattutto di rilanciare la protezione delle foreste.

Sul clima posizioni opposte e inconciliabili

Necessario è stato, però, un prologo politico dopo che l’americano Trump dalla tribuna delle Nazioni Unite, a settembre, aveva affermato che il concetto di cambiamento climatico è uno dei «più grossi imbrogli» mai ideati. Il brasiliano Lula si è così scagliato contro «forze estremiste che fabbricano fake news e condanneranno le future generazioni a vivere in un pianeta alterato per sempre dal riscaldamento globale». Lo scontro tra le parti, come si può osservare, è frontale. Le posizioni sono inconciliabili e polarizzate. Il dialogo pare essere una chimera. In sintesi, il clima è diventato un campo di battaglia su cui si misurano opposte ideologie. Il problema è che - basta leggere i bollettini degli specialisti - ogni mese, ogni stagione, ogni anno è «più caldo» del precedente. In Islanda sono arrivate le zanzare, in alcune zone della Siberia il permafrost si sta sciogliendo, la neve sulle nostre montagne è diventata un evento da ricordare.

Sfide epocali, impegno di tutti

Ma le sfide epocali non si possono vincere senza l’impegno di tutti (politici, businessmen, gente comune). Non è possibile che l’avvento di un «bastian contrario» o di un furbo qualsiasi - con visioni negazioniste o limitate al «stasera» e manco al «domani» - faccia saltare l’intera architettura fin qui faticosamente costruita. Ecco l’ennesimo esempio su come sia impossibile mettere tutti d’accordo e consessi meno universali - come G7 o G20 - siano spesso ben più efficaci, ad esempio, dell’Onu. Lo stesso dicasi per il voto a maggioranza qualificata in Ue e non all’unanimità. Anche perché, nel caso del clima, le risorse da radunare (migliaia di miliardi di dollari) per vincere una tale sfida sono astronomiche e lo sforzo deve essere comune a tutti, seguendo regoli uniche, possibilmente all’interno di dinamiche positive in un’ottica di progresso dell’intera umanità. Ma - senza la politica - non ce la si fa.

Impegni più sostenibili, ma per tutti

L’Accordo di Parigi, è bene riconoscerlo, è stato in passato il punto più alto di un processo virtuoso. La dura realtà quotidiana, tuttavia, incombe. A giudicare dal vento che tira sui cinque continenti, positivamente va giudicata la recente intesa a livello Ue sul taglio delle emissioni di anidride carbonica (massima causa dei cambiamenti climatici) entro il 2040, intesa ridiscussa e concordata che porta finalmente la flessibilità. Oggi in tale campo l’Ue pesa globalmente per il 6% e presto scenderà al 4%. Non è possibile, in presenza di percentuali così basse, impegnarsi ora in sforzi ciclopici, quando i maggiori inquinatori - India, Cina e Paesi del sud-est asiatico - fanno orecchie da mercante. In conclusione, va bene il «Green Deal», ma che esso sia sostenibile dai cittadini europei e ben equilibrato con l’analogo impegno altrui.

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