Canada, viaggio di riconciliazione

È in Canada per quello che lui stesso ha definito un «pellegrinaggio penitenziale».

Papa Francesco va a chiedere scusa ai popoli indigeni, gli indiani delle grandi foreste per quello che gli analisti chiamano «genocidio culturale», cioè l’imposizione della cultura bianca anglosassone e la fede cattolica e protestante alle popolazioni native dei territori soprattutto dell’Alberta e del Quebec di lingua inglese e francese, decisa dal governo canadese per la quale all’epoca aveva chiesto la collaborazione delle congregazioni religiose cattoliche e protestanti, arrivate al seguito del colonialismo europeo, nella gestione di centinaia di «scuole residenziali», dove i figli dei nativi erano praticamente segregati, senza alcun rapporto con le famiglie, per plasmarli della nuova cultura. Si tratta di un viaggio che un Papa non ha mai fatto con questa denominazione e con questa convinzione. Ma si tratta anche di un viaggio complesso per via della posta in gioco e delle responsabilità del passato che non sono tutte da addebitare alla Chiesa cattolica, come sembra invece dalla narrazione mainstream di quasi tutta la stampa mondiale e in particolare di quella canadese e nord-americana.

La questione canadese intreccia abusi culturali e fisici a danno di bambini e giovani da parte di molte istituzioni. Ma solo la Chiesa cattolica ha finora chiesto scusa, ha riparato con somme ingenti di denaro e ne ha stanziate altrettante alla vigilia del viaggio del Papa, non ha mai cercato di minimizzare la vicenda, di trovare giustificazioni, nonostante la sua responsabilità non sia primaria. Da decine d’anni la Chiesa canadese e la Santa Sede si sono impegnate in un cammino di riconciliazione con gli indiani canadesi e di riaffermazione dei loro diritti e delle loro legittime aspirazioni. Bergoglio li ha accolti in Vaticano a marzo. Così il «pellegrinaggio penitenziale» di Francesco è un atto di coraggio e un esempio per tutti coloro che questo cammino ancora non l’hanno intrapreso. Padre Federico Lombardi sulla Civiltà Cattolica, in una puntuale ricostruzione della vicenda, osserva che il viaggio è «un prezzo penitenziale, tutt’altro che inutile, da pagare in un cammino di purificazione da parte della Chiesa». Ma, aggiunge, esso darà frutto se nel Paese si arriverà «ad un incontro profondo e rinnovato – davvero riconciliato – con i popoli indigeni e l’intera società canadese». Qui sta il punto.

Jorge Mario Bergoglio, pontefice sudamericano, sente sulla sua pelle mordere il dramma della «conquista cattolica» nel continente americano e della inconciliabilità tra evangelizzazione e colonialismo. In questi anni ha ribaltato la dottrina anche spirituale della giustificazione dell’appropriazione culturale e religiosa delle cosiddette «terre nullius», le terre di nessuno secondo i colonizzatori cristiani, in realtà terre dei popoli indigeni. Ha seguito la rotta indicata da Paolo III nel 1573 con la bolla «Sublimis Deus» sui diritti dei popoli indigeni «anche se non hanno la fede in Dio», corretta purtroppo da altre bolle papali della fine del secolo XV sulla legittimità della «conquista cristiana» del continente americano da Nord a Sud. Francesco in Canada va a ripetere il mea culpa che Giovanni Paolo II pronunciò a Santo Domingo il 12 ottobre 1992 in occasione dei 500 anni dalla scoperta dell’America, che si risolse in uno splendido affare per i Re cattolici e la Chiesa e in un dramma per le popolazioni indigene, nonostante Bartolomeo de las Casas e uno sparuto gruppo di missionari, come racconta il famosissimo film «Mission» sull’esperienza delle «riduzioni » dei gesuiti, si misero di traverso sulla dottrina della inferiorità delle etnie e delle culture indigene.

Bergoglio mette solo un sigillo in più perché tutto sia più chiaro e chiama il suo viaggio «pellegrinaggio penitenziale». E non importa, per lui, se il consiglio dal sapore di ultimatum di venire «sul suolo canadese» a chiedere scusa, sia venuto dal presidente canadese Justin Trudeau, capo della nazione che inventò il «genocidio culturale», le cui istituzioni finora non hanno fatto altrettanto con le sue «Prime Nazioni», quelle che abitavano il Canada ben prima dell’arrivo dei bianchi cristiani europei.

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