Cina, i poteri di Xi Jinping e il rischio
autoritario

Il terzo mandato consecutivo come leader del Partito comunista al presidente Xi Jinping non è una buona notizia per la Cina, meno che mai per il mondo e per coloro che credono più nelle istituzioni che negli uomini. Chi adesso avrà la forza politica o il coraggio di dirgli, ad esempio, che la strategia dello «zero Covid» - con la chiusura di città con milioni di abitanti - è fallimentare o che è meglio non imbarcarsi in una qualche avventura militare per ricongiungere finalmente la madrepatria e scrivere la storia?

Per referenze, chiedere all’ex presidente Hu Jintao, portato fuori di peso dai commessi dalla tribuna delle autorità al congresso del Pc davanti alle telecamere delle tivù mondiali. Le immagini della «purga», formato XXI secolo, sono state chiaramente censurate in Cina.

Xi Jinping contravviene così alla tradizione di uscire di scena dopo due mandati, voluta dalla leadership del suo Paese tempo addietro per evitare personalismi o culti strani. Oggi i cinesi si ritrovano ad essere condotti dal Nucleo ossia Xi, il cui pensiero è addirittura insegnato nelle scuole, poiché rappresenta la bussola per intere generazioni. In altre realtà, a differenti latitudini, tali imposizioni - con Costituzioni in vigore violate o peggio violentate - sono state giustificate spesso dalla necessità di «stabilità» per fronteggiare meglio crisi interne o esterne. Il risultato finale è stato disastroso. Senza andare troppo lontano, la Russia. La Costituzione eltsiniana del 1993 prevedeva due mandati presidenziali all’americana da 4 anni, poi a casa. Ed, invece, nel 2008 il giochetto di un fedelissimo al Cremlino e il vero leader come primo ministro. Poi, quattro anni dopo, lo scambio al contrario con l’aggiunta dell’interpretazione dei due incarichi «consecutivi». Conclusione: opposizioni interne annientate, società atomizzata e tragedia ucraina. Fino all’inizio di una certa deriva la Russia era stata additata come un caso positivo. Boris Eltsin, primo presidente post sovietico - dileggiato da una parte dell’intellighentsija occidentale per aver imposto la cancellazione del Partito comunista sovietico (come se non fosse stato il fulcro di alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani del XX secolo) - aveva mostrato la strada dimettendosi poco prima della conclusione dei suoi due incarichi, nonostante avesse tutte le leve del comando ancora tra le mani. Le tragiche lezioni del passato erano state apprese correttamente.

Da sempre il limite massimo dei due mandati è stato l’antidoto contro le derive autoritarie e per l’efficienza dell’amministrazione pubblica. Ecco perché siamo favorevoli dopo due incarichi ad un generalizzato ricambio di dirigenti e funzionari di Stato soprattutto nell’Italia degli inamovibili, incollati alle loro poltrone, nell’Italia dei capi mediocri circondatisi da folle di collaboratori - qualitativamente scarsi ma - adulanti.

Un’ultima riflessione. La turbo-globalizzazione, che dal 2001 ha trasferito enormi ricchezze e know-how dalle democrazie europee e nord-americane a Paesi in via di sviluppo, va corretta, seguendo anche gli insegnamenti della tragedia ucraina. Le autocrazie hanno non di rado investito i capitali incassati in funzione anti-occidentale, persino per riarmarsi. Evitando di entrare in questioni politiche interne altrui, che dal 2023 l’Occidente - temuto solo per la sua forza economica - imponga un limite agli affari. Alla turbo-globalizzazione scatenata dei mercati e dei soldi serve ora contrapporre sul serio la globalizzazione della democrazia (senza esportarla) e dei valori.

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