Concessioni balneari, Mattarella non scherza

ITALIA. La lettera con la quale il Capo dello Stato ha accompagnato la firma del decreto legge «mille proroghe», approvato dal Governo, merita alcune osservazioni sul piano politico e costituzionale. La prima riguarda la singolare posizione espressa dalla maggioranza parlamentare.

Derubricare le osservazioni di Mattarella ad argomenti sui quali l’esecutivo porrà «attenzione» è riduttivo, fuorviante e, addirittura, indirettamente lesivo dei poteri del presidente della Repubblica. Sull’annosa questione dell’ennesimo rinvio della legge sulle concessioni balneari le parole di Mattarella sono precise e particolarmente gravide di conseguenze. Sulla base delle sue prerogative egli ha, infatti, ammonito Governo e Parlamento a modificare una legge che contrasta con le direttive dell’Unione europea (che, per definizione, hanno valore di legge alla quale ogni Paese è tenuto ad adeguare la normativa nazionale). Come è noto, sulla necessità di allineare l’Italia agli altri Paesi dell’Ue sulla base dell’esigenza di garantire la concorrenza nella concessione delle concessioni. La maggioranza è fortemente divisa. Per non dire lacerata, tra Fratelli d’Italia e i due partner, Lega e Forza Italia. Nel suo messaggio il Capo dello Stato ha tenuto a precisare di aver firmato il decreto soltanto perché la mancata ratifica, da parte sua, avrebbe causato la decadenza di norme di particolare necessità e urgenza. Elementi che - nel caso delle concessioni balneari - non sussistono. Il Governo avrebbe potuto (e dovuto) approvare un disegno di legge da sottoporre al voto delle Camere. Ne aveva tutto il tempo. Non lo ha fatto per la semplice ragione che la maggioranza è paralizzata dai suoi problemi interni.

L’esecutivo si è impegnato a dare ascolto alle precise e inoppugnabili argomentazioni contenute nella lettera di Mattarella. Le prossime settimane potranno dimostrare se si è trattato di un impegno reale (e da rispettare pienamente) oppure se è stata soltanto una mossa di facciata. Questo secondo scenario sarebbe estremamente rischioso sul piano costituzionale e porrebbe seri quesiti in materia di equilibrio tra i poteri costituzionali. Il presidente della Repubblica - basta leggere senza pregiudizi la sua lettera - aveva la possibilità di non apporre la sua firma al decreto legge, rinviandolo al mittente. Non lo ha fatto per il senso di responsabilità e di prudenza istituzionale che ha costituito il suo operato nel suo primo mandato e nell’inizio di quello attuale. Ma ciò non dovrebbe spingere l’attuale maggioranza a far finta di nulla, confidando in un possibile attendismo del Capo dello Stato. Mattarella ha sempre evitato lo scontro diretto, preferendo piuttosto «dire a suocera affinché nuora intenda». Ne è esemplare, da ultimo, il discorso nel quale ha decisamente sconfessato l’operato nel ministro per l’Istruzione e il Merito sulla violenza dell’aggressione fascista perpetrata contro alcuni studenti di un liceo fiorentino.

La situazione politica italiana si presenta ogni giorno di più ingarbugliata. La presidente del Consiglio si è prevalentemente preoccupata di andare a cercare legittimazione a livello internazionale, tanto nei riguardi degli alleati interni all’Ue, quanto verso altri Paesi con i quali l’Italia ha interessi da coltivare. Scelta pienamente legittima. Peccato che ciò abbia implicato una scarsa attenzione nel calibrare l’azione di governo su temi urgenti per la popolazione, oscillando più volte tra dichiarazioni di principio e inerzia nei fatti. In seconda battuta, quando si è reso indispensabile, Meloni ha optato per la difesa d’ufficio di incompetenti e traballanti appartenenti al suo partito, piuttosto che privilegiare gli interessi generali.

Ma l’aspetto più rischioso riguarda l’esito della vicenda sulla concessioni balneari. Se il Governo non provvederà in tempo a modificare - nei termini prescritti - il decreto legge appena approvato, il Capo dello Stato certamente proverebbe a puntare sulla moral suasion. Se ciò non dovesse dare frutti, egli si troverebbe a dover decidere se sciogliere o meno le Camere. Provvedimento estremo, ma tutto interno ai poteri che la Costituzione gli affida.

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