Consensi, Renzi
ora cambia lo schema

Un’altra settimana, l’ennesima, è passata senza che si sia intravista la luce in fondo al tunnel. Non s’è vista la crisi e non s’è vista la fase due. Eppure Renzi pareva aver rotto gli indugi. Dopo le scaramucce era passato alle azioni di disturbo, votando in commissione ripetute volte con l’opposizione. Da ultimo, aveva lasciato intendere, a Porta a Porta, quasi la «terza Camera» del Parlamento, che avrebbe lanciato una vera «bomba» politica. Non c’è stata invece nessuna bomba, solo degli spari e a salve (nomina diretta del premier, revoca del reddito di cittadinanza e di quota 100, sblocco dei cantieri) che non hanno spaventato nessuno. Lui stesso, il giorno dopo, ha agitato un ramoscello d’ulivo, sollecitando «un incontro di chiarimento» a Conte. Dobbiamo dedurne che il suo affondo sia stato solo mediatico? No, semplicemente dobbiamo abituarci a questa guerra di posizione anomala, anomala perché i contendenti, tutti, a partire da Renzi, non possono usare le armi, ma solo minacciare di farlo.

Il segretario di Italia viva cerca di sopperire allo scarso peso elettorale della sua creatura con un movimentismo corsaro: attacchi rapidi e pronti ripiegamenti. Ricorda Bettino Craxi, versione Ghino di Tacco. Come il brigante di Radicofani taglieggiava i viandanti che passavano sotto la sua rocca, così il segretario del Psi lucrava potere sfruttando la posizione strategica del centro. Renzi, però, non ha a disposizione due forni cui servirsi. Il suo «potere di ricatto» è perciò assai ridotto. Non riesce nemmeno a farsi prendere sul serio quando lancia proposte di semplice buon senso, come lo sblocco dei cantieri. Preso atto che, diversamente da Salvini, la permanenza al governo non gli sta arrecando alcun vantaggio in termini di popolarità, deve aver concluso che gli convenga cambiare schema di gioco. Perché non passare all’opposizione, senza ovviamente prendere l’iniziativa per non addossarsi la responsabilità di aver scassato il governo?

La guerriglia scatenata su ogni provvedimento (anche giovedì scorso i suoi hanno votato undici volte con l’opposizione), unita alle reiterate assicurazioni del proprio appoggio al governo, risponde all’intento di logorare il premier, inchiodandolo alla poltrona senza che possa concludere alcunché. Zingaretti ha più volte avvertito Conte che non condivide la massima andreottiana: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Gli ha fatto eco Graziano Delrio lanciando l’allarme: «Il governo non vivacchi. Oppure è meglio votare».

Rischia allora di esser sincero Renzi quando spavaldamente dichiara che se nasce il Conte ter, «noi passiamo felicemente all’opposizione». Scongiurerebbe al suo partito di finire nel tritacarne delle elezioni anticipate. Inoltre lascerebbe volentieri a un governo raffazzonato (ritorno in auge dei «responsabili», altrimenti detti voltagabbana, terzo cambio di maggioranza dei 5 Stelle, terza formula di governo per Conte, seconda assunzione di responsabilità da parte del Pd di un governo impantanato dalle divisioni interne) lascerebbe al governo, si diceva, la grana di gestire la nuova legge di bilancio con i chiari di luna che ci sono: riduzione della già modesta crescita economica (dallo 0,6% allo 0,2%, se non peggio), impennata del debito pubblico, caduta dell’export, incremento della cassa integrazione. Renzi spera in tal modo di accrescere finalmente la sua popolarità intestandosi dall’opposizione le battaglie che il Pd deve sacrificare sull’altare del compromesso con i 5 Stelle. Il movimentismo di Renzi propizia l’immobilismo di Conte. Insieme, l’uno e l’altro producono il logoramento del governo. Con buona pace della crisi economica che i partiti, in tutt’altre faccende affaccendati, paiono essere gli unici a non prendere sul serio.

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