Contraddirsi, il rischio
di Salvini sul Covid

Prima frattura formale nel governo tra Salvini e Draghi, tra la Lega e gli altri partiti della maggioranza. Motivo: il decreto per le graduali riaperture delle attività socio-economiche nei prossimi mesi. Il Carroccio ha deciso di astenersi ed è la prima volta che accade da quando il governo è nato. In realtà, Salvini avrebbe voluto proprio votare contro ma si è trovato in una contraddizione: solo qualche giorno fa, durante la riunione decisiva della «cabina di regia» del governo, il suo braccio destro, il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, aveva approvato la linea del decreto, peraltro frutto già di un compromesso tra «aperturisti» (Lega, Forza Italia, Italia Viva) e «rigoristi» (Pd, M5S, LeU capeggiati da Roberto Speranza e Dario Franceschini). Dunque votare no al decreto in Consiglio avrebbe significato smentire clamorosamente l’operato del ministro leghista più influente che peraltro, in una recentissima seduta parlamentare, aveva usato parole assai caute sull’allentamento delle restrizioni anti Covid.

Ma Salvini, pressato da una Giorgia Meloni particolarmente combattiva, avrebbe voluto portare a casa almeno il prolungamento del coprifuoco fino alle 23 e la possibilità di mangiare anche nei ristoranti al chiuso. Non c’è stato verso: quando Draghi ha ricevuto un messaggino telefonico dal leader leghista, ha risposto gelidamente: «Abbiamo già deciso ed eravamo tutti d’accordo». Poco dopo Palazzo Chigi ha fatto sapere alle redazioni dei giornali che il presidente del Consiglio è particolarmente irritato con il segretario del Carroccio: «Non lo comprende».

Va insomma emergendo qualcosa che era rimasto sottotraccia fino a qualche giorno fa, un atteggiamento della Lega che vuol essere contemporaneamente di lotta e di governo: al tavolo dove si decide e nelle piazze dove si protesta. Ristoratori, commercianti, gestori di palestre e di piscine non debbono aspettarsi un aiuto solo da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni ma anche dalla Lega e da Matteo Salvini. Che però è in una condizione assai più problematica della sua alleata.

Va poi considerato, come fanno notare i grillini, che in questa circostanza M5S, Pd e LeU hanno agito «in una logica di coalizione», cioè di comune accordo, per impedire che Salvini la spuntasse potendosi poi vantare all’esterno di essere lui il campione dell’«Italia che vuole tornare alla libertà». Forse non è stato nemmeno necessario erigere questo muro da parte delle tre forze politiche: già Draghi era determinato a seguire una linea di equilibrio e di prudenza, disposto alle riaperture certo, ma sempre tenendo in gran conto la posizione dei medici e degli scienziati in gran parte assai critici verso concessioni troppo anticipate. Del resto il professor Andreoni di Tor Vergata (per non parlare di Galli o di Crisanti) sono convinti che le nuove misure «ci costeranno più di un morto». Opinioni crude ma almeno con il pregio della chiarezza. Quelle che evidentemente Forza Italia ascolta più di quanto faccia Salvini: il partito di Berlusconi infatti non ha seguito l’alleato di coalizione e ha votato sì al decreto varato ieri pomeriggio dl Consiglio dei ministri.

Adesso si prospetta un altro momento di verità dopo questa frattura in Consiglio dei ministri: la conferenza dei capigruppo del Senato ha infatti deciso che la votazione sulla mozione di sfiducia individuale presentata da Fratelli d’Italia contro il responsabile della Salute Roberto Speranza si terrà il 28 aprile. La Lega finora non si è allineata con l’iniziativa della Meloni per la ragione che un voto contro Speranza significherebbe automaticamente la crisi di governo. E ancora ieri mattina le fonti leghiste dicevano: «Non metteremo in difficoltà Draghi». Poi però è arrivato il tribolato Consiglio dei ministri del pomeriggio con la decisione di astenersi sul decreto. Qualcosa fa pensare che questo potrebbe mutare l’atteggiamento dei senatori leghisti nel voto sulla mozione contro il principale esponente della linea più rigida. Ma anche se il Carroccio si limitasse all’astensione si aprirebbe comunque un vulnus assai difficile da sanare. Salvini dovrà meditare bene cosa fare, se non altro per non entrare in contraddizione con se stesso.

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