
L'Editoriale
Martedì 15 Aprile 2025
Convivere con Trump e gestire i suoi flop
MONDO. Mettiamoci il cuore in pace. Con Trump dobbiamo convivere. Convivere, cioè, con l’inaspettato, malaugurato, - diciamolo - nefasto indirizzo imposto alla politica americana e, per estensione, all’intero globo, vecchio continente incluso.
Nel fantasmagorico flusso di novità, che giorno dopo giorno Trump riversa su un mondo attonito di fronte al carattere dirompente della sua iniziativa politica, almeno due tratti sono destinati ad essere permanenti. Il primo: la sua ferma, irrevocabile decisione di tutelare, innanzitutto e contro tutti, l’interesse dell’America. Secondo: il suo modo di agire erratico e quindi imprevedibile. Sono in molti a dubitare che riuscirà a fare, come promette ad ogni piè sospinto, l’America Great Again. Ma non c’è da dubitare che si atterrà all’imperativo di fare l’America first. Questo comporta che noi italiani, noi europei, dobbiamo dimenticarci di essere trattati da alleati sia nelle questioni politiche sia in quelle economiche. Per Trump c’è l’America e solo l’America. Potrà alzare o abbassare i dazi, minacciarli o scontarli, impugnarli e sospenderli, ma a una politica protezionistica non rinuncerà. Fa parte della sua constituency, del contratto con i suoi elettori.
Sperare negli americani
Perciò, più che far conto su quello che noi possiamo ottenere da Trump, dobbiamo sperare su quel che gli americani potranno ottenere dal loro presidente. Come s’è visto in questi giorni con il crollo delle Borse, solo l’allarme suscitato nei suoi concittadini sulla sorte dei loro risparmi (che - val la pena di ricordare – funzionano per loro come una sorta di welfare), ha imposto una sospensione alla sconsiderata corsa allo sfascio intrapresa dal tycoon. Con buona pace dell’ostentata sicumera di cui si fa bello, Trump non può non tener conto del pericolo che corre in termini di consenso. L’onda montante del malcontento lo potrebbe travolgere nelle elezioni di medio termine e allora la sua avventura finirebbe davvero male.
C’è un altro rischio cui si espone. Non è detto che i calcoli fatti di riportare in patria la gran parte delle manifatture delocalizzate siano fondati. Sono molti i fattori che congiurano contro: i tempi lunghi necessari all’operazione; lo svantaggio in termini di costi della produzione di merci ad alta intensità di lavoro; le contromisure in difesa delle proprie aziende che inevitabilmente il resto del mondo sarà costretto ad attuare. Per quanto riguarda il secondo dato che contraddistingue il personaggio, non dovremo tenere in considerazione il carattere instabile, quasi umorale e quindi imprevedibile del suo stile d’agire. Fa parte del suo carattere, del suo gioco, ma anche della necessità sua di sfuggire alla stretta in cui s’è cacciato, tra Borse finanziarie che crollano e malcontento dei suoi elettori che cresce. Senza tralasciare la ribellione dei Paesi colpiti dai suoi dazi. Non manchiamo, tuttavia, di sottolineare che questa imprevedibilità di comportamenti gli procura anche dei vantaggi. Gli permette di mantenere l’iniziativa, di dettare i tempi e i modi di un cambio di strategia; e ancora, di far mancare ad avversari e nemici dei punti di riferimento stabilì su cui impostare la loro politica. Questo, è bene ricordarlo, sta creando però anche una grande incertezza nella vita economica dell’intero globo che minaccia di procurare anche alla sua America, non un’epoca di ricchezza, ma una pesante depressione economica.
L’imprevedibilità del personaggio
Imprevedibilità del personaggio, incertezza sugli esiti del suo progetto imperiale, sbocco o meno dell’economia planetaria in una stagnazione, o addirittura in una recessione, successo o meno che gli Usa riusciranno ad ottenere sulla rivale Cina: tutto questo a parte, c’è un ultimo dato da cui non si deve prescindere: la fine della globalizzazione. Si è inaugurata l’epoca del protezionismo e del sovranismo. Non sarà un bel vivere. È vero che nulla nella storia si ripete uguale, ma essa insegna che il protezionismo non promette tempi felici.
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