Covid-19, effetti
sulla politica

Medici e virologi stanno ancora indagando sul cosiddetto «long Covid», cioè i molteplici effetti che il SarsCov-2 può avere sul corpo delle persone a mesi di distanza dal momento del contagio. Osservatori e cittadini di tutto il mondo, però, potrebbero realizzare presto che c’è un altro effetto di lungo termine della pandemia, un contagio di natura politica che scuote alle fondamenta Paesi pur diversi fra loro, da Cuba alla Tunisia, con potenziali ricadute per le democrazie occidentali, Italia inclusa. Cresce infatti il numero degli Stati che, in ragione del prolungarsi della crisi sanitaria, dopo aver faticato a contenerne le conseguenze economiche e sociali, ora vedono messa addirittura in discussione la propria sopravvivenza nella forma attuale.
Nella Repubblica islamica iraniana, per esempio, dove i morti per Covid-19 si sono contati a decine nella stessa classe dirigente, il dissenso è tornato a essere visibile nonostante il rischio repressione: prima gli scontri nella regione del Khuzestan per l’approvvigionamento idrico, poi i cortei anti Ayatollah nella capitale Teheran come non se ne vedevano da mesi.

Era da anni, invece, almeno dal 1994, che a Cuba non c’erano manifestazioni partecipate come quelle delle ultime settimane. «Patria Y Vida», uno degli slogan preferiti nei cortei, è un’aperta contestazione del tradizionale e rivoluzionario «Patria Y Muerte». Il desiderio di libertà sembra essersi riacceso sulla scorta delle corsie piene degli ospedali e degli scaffali vuoti delle farmacie. Lo stop al turismo internazionale, uno dei principali motori dell’economia cubana, ha fatto il resto.

E poi Haiti, Myanmar. Ma non ci sono soltanto regimi autoritari o dispotici tra i Paesi investiti da questa «pandemia parallela» fatta di crescente instabilità.

In Libano, dove nel 2020 il Pil si è ridotto del 20%, si sono registrati diversi assalti alle banche ed è stato appena nominato il terzo premier consecutivo nel tentativo di formare un governo. L’economia è in panne anche in Sud Africa, uno dei Paesi africani più duramente colpiti dal virus. Nemmeno il fatto di avere a disposizione abbondanza di materie prime, con prezzi record da mesi, ha frenato un tasso di disoccupazione che ormai supera il 30%. Le immagini dei saccheggi ai supermercati hanno fatto il giro del mondo, il quotidiano inglese Financial Times parla del «più grave stato di agitazione dai tempi dell’apartheid». In questa pur sommaria lista, non può mancare la Tunisia. Una settimana fa, i media italiani rilanciavano il video virale di un medico locale in lacrime perché nel suo ospedale non c’era più ossigeno per i pazienti affetti da Covid-19. Ora, quasi all’improvviso, gli stessi media scrutano una crisi istituzionale senza precedenti: il Presidente della Repubblica Kaïs Saïed ha spinto alle dimissioni il premier del partito islamista Hichem Mechichi, ha sospeso i lavori del Parlamento e imposto un coprifuoco per fermare le manifestazioni.

Mobilitazioni così dirompenti, secondo gli analisti di rischio politico, potrebbero diffondersi nei prossimi mesi. Passato infatti il momento in cui la mobilità delle persone era limitata dai lockdown, terminata la fase dell’unità nazionale in nome dell’emergenza, esaurite le risorse per tamponare il crollo di produzione e occupazione, emergono in tutta la loro gravità le ferite causate dalla pandemia. Succede soprattutto in Paesi con deficit di legittimazione democratica o attraversati da lacerazioni di antica data del tessuto sociale. Dunque le democrazie occidentali possono ritenersi immuni da sviluppi simili? In realtà ci sono almeno due possibili «meccanismi di trasmissione» del nuovo contagio. Primo, come dimostrano le sempre più frequenti manifestazioni anti green pass, in tutta Europa monta l’insofferenza di parte della popolazione a nuove restrizioni anti Covid-19. Inoltre crisi di sistema in Tunisia e Libano potrebbero avere un impatto sull’Italia attraverso un’intensificazione dei flussi migratori nel Mediterraneo o alimentando l’instabilità nell’area in cui opera il contingente militare tricolore della missione Unifil. Ottimi motivi per accelerare la campagna vaccinale, per adeguare istituzioni e servizi fondamentali a un eventuale scenario di ripresa dei contagi, per abbandonare attitudini ombelicali e dedicare attenzione a quanto accade fuori dai confini nazionali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA