Debito pubblico
europeo, perché sì

Gli scenari aperti il 26 novembre scorso dal Trattato del Quirinale tra Italia e Francia si annunciano di grande rilievo per il nuovo e più consistente ruolo che le due nazioni amiche potranno svolgere in campo europeo. Per fronteggiare più incisivamente i continui veti che hanno frenato importanti iniziative su questioni di rilevanza internazionale, già in precedenti incontri Draghi e Macron avevano concordato sulla necessità d’imprimere una decisiva svolta alla «politica estera europea» attraverso una modifica del Trattato di Maastricht, con il passaggio dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata. Emblematico è quanto avvenuto sulla regolamentazione dei flussi migratori, rispetto ai quali ogni Paese membro sta svolgendo politiche autonome, spesso in contrasto tra loro.

In occasione della firma del Patto, Draghi ha richiamato l’attenzione sull’importanza di realizzare una «difesa comune» che non sia in contrasto con la Nato, ma occupi gli spazi dalla stessa non ritenuti di suo stretto interesse. Sulla questione si era in precedenza pronunciato Macron, annunciando la convocazione di un summit per il prossimo gennaio, in occasione dell’apertura del semestre francese di presidenza del Consiglio europeo, nel quale verrà posta in discussione la necessità di realizzare una più efficace politica di sicurezza in Europa. Un’ulteriore questione sulla quale Italia e Francia si apprestano ad assumere un’iniziativa comune è quella che riguarda la modifica del Patto di stabilità e di crescita. Questo accordo, sottoscritto nel 1997 dai 27 Paesi membri, ha confermato il rispetto dei requisiti di adesione all’Unione europea previsti dal Trattato di Maastricht, che prevedono il non superamento del 3% nel rapporto deficit Pil e del 60% nel rapporto debito-Pil. I disastrosi lasciti anche economici e sociali della pandemia hanno suggerito la sospensione del Patto fino al 31 dicembre prossimo, in considerazione dell’enorme aumento del debito registrato dai vari Paesi. La prossima primavera si riapriranno le trattative per pervenire a un’ulteriore sospensione del Patto, se la crisi pandemica continuerà a incidere sull’economia dei vari Stati, oppure a una riforma dello stesso che sia largamente condivisa.

Lo scorso ottobre è già stata formulata un’interessante proposta da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), nella quale si definisce «irrealistico» il mantenimento dell’attuale rapporto debito/Pil al 60% e si propone che venga portato al 100%, fermo restando il rapporto del deficit al 3%. Da quest’ultimo potrebbero, però, essere scorporati gli investimenti pubblici per la transizione verde e digitale. Il Mes ha ancora proposto che «gli Stati membri con un debito superiore alla soglia del 100% dovrebbero impegnarsi a far sì che la differenza tra spese ed entrate, al netto degli interessi passivi, sia coerente con un ritmo comune di riduzione del debito predeterminato». Questa proposta, già contestata dai Paesi del Nord e dall’Austria, è stata solo in parte condivisa da Italia e Francia, che si propongono di realizzare altri importanti obiettivi. Il principale è quello di rendere strutturali e quindi permanenti gli strumenti finanziari varati col Next Generation Ue, realizzando un sistema che permetta di creare un «Debito pubblico europeo» e ne garantisca la sostenibilità. Questa soluzione implicherebbe un controllo sulle modalità di spesa tra il bilancio corrente, che resterebbe a carico dei singoli Stati, e investimenti che verrebbero messi a carico dell’Ue. Tale soluzione converrebbe molto all’Italia, la cui classe politica negli ultimi trent’anni si è dimostrata incapace di effettuare investimenti per la crescita, preferendo incrementare il deficit per coprire la spesa corrente nell’interesse della propria ascesa elettorale. In ogni caso, i problemi aperti dalla crisi pandemica e dalle massicce immigrazioni hanno messo in crisi l’impianto di regole sancite con il Trattato di Maastricht e si impone una sostanziale revisione della «governance economica» del Vecchio continente.

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