Democrazia chiamata in difesa della libertà

La democrazia non gode di buona salute, ma anche la libertà non si sente troppo bene. Il brutto della faccenda è che per entrambe non si tratta di una malattia stagionale, ma cronica. Da tempo le democrazie sono in ritirata un po’ in tutto il mondo. Mostrano di cedere il passo alle autocrazie in ogni sfida geopolitica. Il ritiro rovinoso degli americani in Afghanistan è stato solo l’ultimo, e più fragoroso, episodio di una serie ininterrotta di scacchi.

Non è solo quando sostengono guerre lontano da casa, e per cause discutibili, che le democrazie faticano a reagire. Sappiamo per esperienza che annaspano anche quando sono direttamente aggredite. La ragione è semplice: dovendo i governi rispondere agli elettori in merito a così drammatiche scelte, si mostrano oltremodo restii a chiedere il (possibile) sacrificio della vita. Per fortuna, finora, alla distanza le democrazie sono risultate sempre vincenti. Non sorprende, quindi, se di fronte all’aggressione russa all’Ucraina, l’Occidente non si sia sentito di lanciare la sfida, cosciente di quali drammatiche conseguenze un atto del genere avrebbe potuto scatenare.

Non ci sarebbe da preoccuparsi troppo se il lato debole delle democrazie fosse solo questo. Ce n’è un secondo, invece, ben più serio. Dopo la caduta del muro di Berlino ci si aspettava che la forza prorompente della democrazia trovasse campo libero per diffondersi nell’intero pianeta, grazie alla scomparsa del suo nemico storico, il comunismo.

Al contrario, essa mostra di aver perso la sua carica propulsiva e non si vede come, e soprattutto se, riuscirà a riguadagnare lo smalto originario. La forza, sulla quale s’incardinava l’idea che non ci potesse essere sviluppo senza democrazia e che da due secoli l’ha resa vincente, è venuta meno, non avendo essa più saputo ultimamente garantire, oltre alla libertà, anche la crescita economica e il progresso sociale.

L’assioma ha cominciato a vacillare. Anzi, secondo molti, è già stato falsificato. Sarebbe stato proprio il presunto «trionfo della democrazia» a far crescere nei Paesi a tradizione democratica il disincanto e la sfiducia verso tutto ciò che «sa di politica». Del resto, a ben vedere, il livello di sviluppo sociale richiesto dalla democrazia, così com’è conosciuta in Occidente, è esistito solo in una minoranza di luoghi, e anche qui solo durante determinati periodi della storia. Il risultato è che paradossalmente oggi, mentre proponiamo la nostra versione della democrazia all’estero, siamo sempre meno convinti della sua validità in casa nostra.

Nel resto del mondo sono i regimi illiberali e autocratici (dalla Cina a Singapore, dalla Turchia alla Russia) a mostrare una vitalità soverchiante. Non è la democrazia o la libertà che i loro concittadini considerano il bene maggiore, bensì la sicurezza e, ancor più, la crescita economica.

Anche se il processo è difforme nelle varie parti del mondo, non godono più favore alcuni principi basilari della democrazia, come la separazione dei poteri e il rispetto dei diritti delle minoranze. È il 2017 l’anno fatidico in cui si registra il sorpasso dei paesi autocratici su quelli democratici: 89 contro 27. Gli stessi regimi che ancor oggi noi insistiamo a chiamare democratici, in effetti non lo sarebbero più. Sarebbero più propriamente da qualificare, ad esser ottimisti, come «governi a legittimazione popolare passiva» o, più realisticamente, democrazie illiberali, «senza diritti», che hanno cioè perso il loro storico legame col liberalismo. C’è da sperare che il soprassalto d’orgoglio dell’Occidente registrato in occasione dell’invasione dell’Ucraina e il martirio affrontato dal popolo ucraino in difesa della libertà non siano il canto del cigno della democrazia, ma segnino il suo rilancio in tutto il mondo.

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