Demografia, il destino che riguarda le nostre vite

Demografia è destino. Prendere questo adagio alla lettera sarebbe errato, eppure non c’è dubbio che i mutamenti di una popolazione - un suo incremento rapidissimo, o un suo collasso improvviso, o ancora un cambiamento radicale della sua composizione - contribuiscono a determinare le sorti di una nazione (o di una civiltà), specie nel lungo periodo. Il dibattito sulle pensioni, un evergreen della politica italiana degli ultimi trent’anni, è solo una piccola dimostrazione di quanto il mutamento demografico incida sulla nostra vita di tutti i giorni. E proprio come si evince dal dibattito previdenziale, noi italiani - ed europei tutti - quando diciamo che «demografia è destino», diamo quasi sempre per scontato che questo destino non ci arriderà. La nostra popolazione infatti declina e s’invecchia a vista d’occhio, a differenza di quella di Paesi vicini o concorrenti; inoltre soffriamo di squilibri crescenti al nostro interno (tra guerre generazionali e problemi d’integrazione degli immigrati), dunque che destino radioso dovremmo aspettarci?

Tuttavia, negli ultimi mesi, alcuni analisti ritengono di aver individuato nel mondo dei mutamenti demografici dei quali finalmente gli europei potrebbero giovarsi. Si prenda per esempio la principale sfida geopolitica del momento, quella tra Stati Uniti e Cina. È molto probabile che un conflitto tra le due superpotenze ci coinvolgerebbe in qualche modo, e difficilmente ci avvantaggeremmo di una battuta d’arresto dell’alleato americano. La demografia, però, stavolta rema dalla parte dell’Occidente. La popolazione cinese infatti potrà pure incutere timore per la sua taglia (1,411 miliardi di abitanti), ma inizia a mostrare gravi squilibri. Innanzitutto un netto calo delle nascite, a livelli italiani si potrebbe dire, visto che il tasso di fecondità medio cinese è di 1,3 figli per donna. Una discesa rapida, perché nel 2020 sono nati meno di 12 milioni di cinesi mentre un anno prima ne erano nati 14,6 milioni. Discesa che oltretutto dura da tempo, tanto che la forza lavoro cinese si sta già riducendo da qualche anno. L’invecchiamento, poi, si intensifica a una velocità mai vista nella storia: i cinesi over 60, oggi 264 milioni, diventeranno quasi 500 milioni fra trent’anni. In presenza di un reddito pro capite medio che è ancora un quarto di quello americano e di un sistema di pensioni e ospedali pubblici tutt’altro che strutturato e generoso, sarà difficile gestire un grande numero di anziani.

Gli Stati Uniti presentano molti punti deboli, ma la demografia non è uno di questi: hanno una popolazione in crescita, complice pure l’apertura all’immigrazione, una forza lavoro in lieve aumento e decisamente più istruita di quella cinese, in generale un maggiore equilibrio tra generazioni.

Non c’è solo la geopolitica. Il rapido invecchiamento cinese, secondo l’economista inglese Charles Goodhart, potrebbe avere conseguenze economiche positive per la classe media occidentale. La tesi di Goodhart, per sommi capi, è che l’ingresso a pieno titolo della Cina nel sistema commerciale ed economico mondiale, avvenuto negli ultimi trent’anni, ha «spiazzato» i lavoratori occidentali in ragione dell’immissione di una forza lavoro in crescita, composta da centinaia di milioni di persone pronte a lavorare per salari molto più bassi. Uno «shock di offerta di lavoro» che ha alimentato deflazione, di cui si sono avvantaggiati capitalisti e consumatori occidentali, ma che ha ridotto il potere contrattuale dei nostri lavoratori e sindacati esposti al processo di delocalizzazione. Ne è seguita, perdonerete la sintesi, una riduzione della disuguaglianza tra Paesi del mondo, ma un incremento della disuguaglianza all’interno dei Paesi occidentali. Adesso tuttavia la tendenza sta cambiando. A oriente, in primis in Cina, i salari sono in aumento e la forza lavoro è in diminuzione. Il tutto mentre le leadership occidentali parlano di «reshoring», cioè di riportare in patria alcune produzioni per ragioni strategiche. La demografia cangiante a oriente, conclude Goodhart, potrebbe essere all’origine in occidente di un rafforzamento del mondo del lavoro e di una riduzione della disuguaglianza. Demografia è destino, ma almeno per alcuni aspetti si potrebbe trattare questa volta di un destino meno tetro.

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