Disastro Italia in Europa
Tutti in ordine sparso
e il 23 aprile incombe

Disastro italiano al Parlamento europeo. Ognuno ha votato come gli pareva. Sui «recovery bond» proposti dalla Francia e dall’Italia la maggioranza giallo-rossa si è spaccata in tre pezzi (favorevoli Pd e renziani, contrari alcuni grillini, astenuti gli altri pentastellati). E si è divisa anche l’ opposizione: Forza Italia ha votato una volta con la Lega contro gli eurobond e un’altra col Pd a favore dei recovery bond. E questo nel giorno in cui il Parlamento presieduto dall’italiano Davide Sassoli (Pd) è riuscito a trovare un compromesso da proporre ai governi che dovranno affrontare l’ impervia trattativa nel vertice del 23 aprile dedicato al varo del pacchetto di misure per tamponare l’ emergenza economica causata dal Covid 19 e provare a far ripartire il motore produttivo del Continente.

Questo compromesso - sostenuto dal Ppe, ed è significativo - dice sì al ricorso al Fondo Salva-Stati (Mes) almeno nella parte in cui presta soldi senza condizioni per pagare le spese sanitarie; sì al Fondo per la ripresa (Recovery Fund) con titoli di debito garantiti dal Bilancio comunitario, e no - appunto - agli eurobond considerati non fattibili perché metà dell’ Unione non è disposta a caricarsi i debiti pregressi dei singoli Stati ma semmai solo quelli futuri dovuti alla pandemia.

Così dovrebbero essere contemperate le richieste di solidarietà avanzate da francesi, italiani, spagnoli, portoghesi, irlandesi, sloveni e altri sette paesi con la tetragona rigidità di tedeschi, olandesi, finlandesi, austriaci e altri che temono fortemente di dovere impegnare i loro quattrini per «gli sfaticati del Sud». I capi di Stato e di governo accetteranno un simile compromesso? Chissà. Se lo ha votato il partito di Angela Merkel, il Ppe, qualcosa vorrà dire.

Ma al vertice del 23 Giuseppe Conte si presenterà con alle spalle le macerie del voto di ieri con cui non si è capito né cosa pensi la maggioranza che sostiene il governo né l’ opposizione che lo contrasta. Non si capisce niente, insomma, se non che la classe politica - come dice il neopresidente della Confindustria Carlo Bonomi - «non sa dove andare» o quantomeno, se ha delle idee, non sa costruire intorno ad esse un sistema di alleanze. E quindi a quel tavolo (immaginario, visto che i leader saranno in teleconferenza) siederà un Conte indebolito, alla mercè di Macron che farà ancor di più il leader del «Club Med», sperando che la Merkel sia ormai arrivata ad accettare un punto di compromesso. Quando l’ olandese Rutte disse un sonoro «no» alle richieste degli italiani si fece precedere da un voto a larghissima maggioranza del suo Parlamento nazionale e si presentò di fronte ai suoi colleghi stranieri forte della volontà degli elettori. Per Giuseppe Conte sarà l’ esatto contrario.

Senza contare l’ enorme fatica di dare una linea nazionale univoca di comportamento nella cosiddetta Fase 2, coordinandosi con le regioni ed evitando che ognuno si regoli come vuole, col Veneto che si prepara ad «aprire» il prima possibile e la Campania che minaccia il filo spinato ai confini per difendersi. Più aumenta questo clima di confusione più aumenterà il numero di coloro che vorrebbero a Palazzo Chigi un personaggio dotato di maggiore forza e magari carisma: come fino a qualche settimana fa si parlava di Mario Draghi, adesso si evoca Vittorio Colao, attualmente capo della task force insediata a Palazzo Chigi con scarsi poteri. Sono elementi di debolezza, fibrillazioni, incertezze che si ripercuotono sull’ operatività delle istituzioni mentre la pandemia, come dice il professor Ricciardi, non può ancora dirsi sconfitta.

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