E l’Italia porta in Europa una linea condivisa

IL COMMENTO. La posizione dell’Italia sull’attuale crisi internazionale è stata illustrata, alla vigilia del Consiglio europeo, dalla premier Giorgia Meloni che alla Camera e al Senato ha toccato i vari temi all’ordine del giorno del vertice. Sulla politica estera l’Italia, allineata alle scelte di Washington, rimprovera all’Europa i dissensi interni (gravi quelli tra Ursula von der Leyen e Charles Michel) che hanno aggravato la sua debolezza sullo scacchiere internazionale.

Ciò non toglie che la linea sia più che chiara nel condannare l’efferatezza del terrorismo di Hamas, nel chiedere ad Israele, nell’interesse della sua stessa sicurezza, di non lasciarsi andare allo spirito di vendetta, nel ripetere che la strada giusta è ancora quella dei «due popoli e due Stati», nel cercare di fermare in ogni modo una escalation globale del conflitto che sarebbe una catastrofe.

Meloni ha rivendicato di essere stata l’unica premier di un Paese del G7 ad aver partecipato al vertice di pace del Cairo proprio per mantenere aperto il dialogo con i Paesi arabi e musulmani ed evitare il rischio della «guerra di civiltà» o «di religione». E l’Aula da questo punto di vista non ha deluso: tutti in piedi, senza eccezione, quando la presidente del Consiglio ha pronunciato la sua inequivoca condanna di Hamas e del terrorismo islamista e numerosi sono stati gli applausi bipartisan.

Oggi insomma Meloni porterà al vertice un Parlamento unito nella solidarietà ad Israele e capace di prendere una posizione non equivoca sulla guerra tra Hamas e Gerusalemme. Meno unito, invece, sul tema della chiusura delle frontiere (sospensione di Schengen) finalizzata ad evitare che insieme ai migranti illegali arrivino - soprattutto dalla rotta balcanica - anche dei terroristi camuffati. Su questo la sinistra non concorda e considera sbagliata la posizione del governo, convinta che «non vi siano evidenze» per dire che dai barconi che arrivano a Lampedusa ci possano essere delle persone pericolose per la nostra sicurezza e viene considerato isolato il caso dell’islamista che ha ucciso a Bruxelles e che era arrivato in Europa proprio su una barca approdata a Lampedusa. Su questo è evidente che maggioranza e opposizione difficilmente troveranno un accordo ( e infatti in aula ci sono stati momenti di seria tensione).

Il problema vero per il governo però è che con la chiusura dei confini nazionali sta diventando ancora più difficile coinvolgere i partner europei nella gestione dell’emergenza migranti (quelli provenienti dal Nord Africa sono triplicati in due anni) che pesa soprattutto su di noi: se la paura per il rischio terrorismo provoca delle reazioni simili a quelle polacche e ungheresi, Meloni si trova dentro una contraddizione politica, dal momento che le destre di Budapest e Varsavia sono sue alleate politiche. Tanto più dopo che la premier ha chiarito che mai darà il proprio voto in Europa, nel nuovo parlamento di Strasburgo quando si tratterà di eleggere la Commissione, per una coalizione che riproduca l’attuale maggioranza composta da popolari, liberali e socialisti che sorregge l’esecutivo cosiddetto «Ursula».

Ma le alleanze sono importanti nell’Unione, e l’Italia ha bisogno di appoggi potenti per difendere i suoi interessi nazionali nella discussione sul nuovo Piano di Stabilità (noi chiediamo lo scorporo delle spese per green, digitale e sicurezza) o quando si approvano norme sulla transizione ecologica che Roma considera poco sostenibili dal punto di vista sociale. O quando – e succederà oggi - i partner si fanno di nuovo sotto per sollecitare la firma italiana alla riforma del Fondo Salva-Stati (Mes): essere l’unico Paese che ancora non ha deciso la ratifica può diventare una posizione molto scomoda per Palazzo Chigi.

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