Elettorato volatile, il futuro non è deciso

In vista del voto del 25 settembre vanno prese in considerazione due parole: effetto sciame. Quel fenomeno che, in uno dei suoi significati, indica il movimento in massa di un insieme mirato verso una precisa direzione. È ciò che è successo negli ultimi 8 anni quando una porzione d’elettorato ha scelto all’undicesima ora il candidato forte del momento, l’uomo nuovo o percepito tale: è avvenuto con Renzi alle Europee nel 2014, con i grillini alle Politiche nel 2018 (dopo il primo botto nel 2013) e con Salvini di nuovo alle Europee del 2019. Elettori che porgono una mano per ritirarla al giro successivo.

Sono però quelli che di volta in volta fanno la differenza: quando si dice che l’elettorato è volatile, tipico della società liquida, ci si riferisce anche a costoro. Si stima siano fra il 15 e il 20% degli aventi diritto. Sanno anche essere imprevedibili, in ogni caso non programmabili, in quanto di loro non si sa più di tanto. Sfuggono ai sondaggi e infatti, ad ogni tornata, queste indagini si premuniscono di ricordare che all’incirca il 40% del corpo elettorale è indeciso e che potrà decidere all’ultimo momento. Poi, se e quando scelgono, lo fanno in due modi: o si astengono, con le più svariate motivazioni, o si dirigono sul fattore novità, sul cambiamento: ritenuta la soluzione per il solo fatto di succedere. Il Pd di Renzi nel 2014, reduce dalla «non vittoria» di Bersani, era dato al 30% da tutti i sondaggi salito al 41% all’ultima ora per il contributo decisivo delle truppe dell’effetto sciame. Elettori che non hanno una precisa appartenenza, né moderati né ideologici, presumibilmente tiepidi verso la politica, forse con qualche attitudine risentita verso i partiti.

Visti in modo positivo, traducono la loro lontananza dalla politica attraverso uno «scontento operoso»: entrano in partita magari turandosi il naso ma con un effetto moltiplicatore verso quel candidato o quella formazione che promette di essere diverso da tutti gli altri, di chiudere un ciclo e di aprirne un altro. Il nuovo per il nuovo. Poco importa che il beneficiato non lo sia, ma in quel preciso tornante è visto dentro quella precisa categoria: nuovo, quindi incontaminato, dunque promettente. In definitiva, affidabile. Questa componente mobile, un elettorato da ultima istanza e che si autocolloca un po’ ai margini, non è strutturata. Priva di referenti, non dispone di un retroterra identitario, si affida piuttosto al proprio intuito. Non ama intrupparsi, semmai conta sul passaparola. Più che schierarsi, si mette in parcheggio con l’idea di vedere che effetto fa («Proviamo pure questo»). Quelli del metodo sciame si appoggiano alla promessa vincente, in prima battuta per essere sostenuti loro stessi. Un modo diverso di chiedere soccorso alla politica e se si guarda alla storia statistica dal 2011 (governo del tecnico Monti) al Conte 2 (escludendo l’esecutivo Monti che fa storia a sé), si vedrà che questo tipo di voto è guidato soprattutto dalla richiesta di sicurezza-protezione nella sua dimensione più completa dentro il format del nuovismo come ricerca individuale.

Renzi garantiva solidità e tosta determinazione: sprigionava sicurezza. I grillini assicuravano una netta discontinuità in fatto di legalità (giustizialismo) e di sicurezza sociale (Reddito di cittadinanza). Salvini ha cavalcato l’onda della crisi migratoria di quegli anni. Ora ci si deve chiedere quale sarà il comportamento, dai forti tratti psicologici, di questa fetta di elettorato che, semplificando al massimo, potremmo definire il «partito dei non partiti». Il quadro interno è cambiato nettamente: dal governo Monti che aveva disarticolato il bipolarismo e con la parabola discendente dei grillini, la contesa politica è tornata ad essere quella fra centrodestra (ora destra-centro) e centrosinistra. Andrà valutato l’impatto del governo Draghi, che ha reintrodotto la razionalità del fare, e soprattutto la sua traumatica interruzione. Stanno mutando gli stili di vita: sia per il Covid sia per l’inflazione, esperienza inedita per i giovani ma già vissuta e non rimpianta da chi ha i capelli bianchi. La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno introdotto le società nell’impensabile con effetti che influenzeranno la sensibilità elettorale sul versante dei bisogni, delle paure, delle aspettative.

Il futuro non è già determinato e al termine di una legislatura, durante la quale ne abbiamo viste di tutti i colori, ci sarà un pezzo di cittadinanza che chiederà una tregua: stabilità (7 governi e 6 premier, durata media 17 mesi, dal 2011 al 2021), gradualismo e compromesso potrebbero avere un richiamo maggiore dei rovinosi balzi nell’ignoto visti nel 2018-2019. E c’è sempre un avviso valido per i naviganti, come ribadiscono trionfi e crolli dell’ultimo decennio: niente è più fragile del successo. Oggi c’è, peraltro sempre precario, domani chissà

© RIPRODUZIONE RISERVATA