Germania e Putin, relazioni pericolose

La visita all’amico Putin dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder a Mosca è imbarazzante. Non è stata concordata con il governo di Kiev ed esclude una delle parti in causa. L’asse russo-tedesco ha preteso sino a ieri esclusività sulla testa degli altri Paesi. L’idea di fondo è che l’economia riguarda l’economia e la politica va a rimorchio.Un equivoco che un ministro tedesco dell’Economia Günter Rexrodt nel 1993 così formulò: l’economia ha luogo solo nell’economia. La guerra in Ucraina dimostra che non è così. Olaf Scholz prima ha definito il gasdotto Nord Stream una questione di iniziativa privata salvo poi virare e congelare il progetto. In questi 77 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale in Europa si è inconsciamente annidato il pensiero che la guerra non fosse più di questo mondo.

Quanto meno di quello sviluppato. Le armi tuonavano ancora sul pianeta, ma negli allora 28 Paesi dell’Unione europea solo al telegiornale. Putin ha distrutto una condizione di prolungato benessere. Quella nella quale vi era sempre una soluzione. Angela Merkel per 16 anni ne è stata il simbolo. È finita nel 2015 sulla copertina di Time come donna dell’anno per il suo capolavoro: l’apertura dei confini al milione di profughi siriani. In un colpo solo ha trasformato la Germania brutta e cattiva che alberga nel retropensiero di ogni occidentale in un esempio di tolleranza e rispetto dei diritti dell’uomo. Una condizione che sostituiva le armi con l’economia. Berlino aveva capito che la competizione è sui mercati e la guerra quindi obsoleta e inutile.

È così che Putin diventa funzionale a Berlino. Dispone di gas e petrolio e ha bisogno di valuta pregiata. Una combinazione vincente dalla quale entrambi i partner hanno economicamente da guadagnare. L’ex cancelliere Schröder sancisce il matrimonio e diventa il plenipotenziario degli interessi russi in Europa. Nord Stream 1 nasce sotto il suo governo. Il Nord Stream 2 lo vuole l’industria tedesca e solo le bombe sull’Ucraina hanno potuto fermarlo all’ultimo miglio. Il rubinetto è in mano a Gazprom ma per la distribuzione in Europa è a Berlino. Una posizione di forza che non a caso a Washington non piace. La maestria di Angela Merkel è di non nominare mai gli interessi specifici di potenza della Germania. Va in Cina 12 volte in 16 anni e parla di Europa. Poi si scopre che Volkswagen dipende dal mercato cinese per il 4 % della sua produzione. E per gli altri marchi automobilistici si va su quella scia.

L’Europa di Angela Merkel è una sola: quella intergovernativa dove gli Stati non si contano, ma si pesano. Il dominio in Europa sottotraccia. Un equilibrio di stabilità che si fonda sull’egemonia economica. L’idea che dall’altra parte ci sia un mercante. Niente di più sbagliato perché come confermato da Svetlana Aleksievic, bielorussa, Premio Nobel per la letteratura del 2015, per il russo della steppa vale ciò che vale per Putin: rispetto. Nelle poche rilevazioni demoscopiche sull’opinione dei russi emerge un sentimento di frustrazione che si esprime così: nessuno ha paura di noi.

Angela Merkel e il suo predecessore hanno affidato il futuro del loro Paese e quindi dell’Europa a questo partner. Con il 50% delle importazioni di combustibili fossili di fatto si diventa ostaggi. L’attacco all’Ucraina ha confermato una verità antica: è la politica che deve guidare l’economia. Adesso è tardi perché quando la ragione è frustrata, prevale l’ambizione o il risentimento. E l’arma nucleare da fattore di deterrenza diventa ricatto. Ecco perché Angela Merkel potrebbe parlare con Putin. Lo conosce e ne è apprezzata. Un contributo per offrire una via d’uscita onorevole all’autarca finito in un vicolo cieco. Potrebbe iniziare così: anch’io mi sono sbagliata.

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