Giustizia, lo scontro a livelli allarmanti

ITALIA. Ormai è chiaro che è ripartito lo scontro tra il governo e una parte della magistratura. Basta elencare i fatti che si sono susseguiti nell’arco di poche settimane e di pochi giorni.

Prima il caso Santanchè con il «giallo» delle indagini a carico della ministra del Turismo, indagini smentite dall’interessata ma confermate dalla Procura di Milano per reati pesanti, falso in bilancio e bancarotta. Poi il gip che ribalta la richiesta di archiviazione per il sottosegretario alla Giustizia Delmastro avanzata dalla Procura e dispone una imputazione coatta per rivelazione di segreti d’ufficio nel caso Cospito.

Infine, la bruttissima vicenda del figlio del presidente del Senato La Russa, Leonardo Apache, accusato di aver violentato una ragazza: La Russa senior ha abbozzato una difesa del figlio con contemporanea accusa alla ragazza («aveva assunto cocaina») che però è stato indotto rapidamente a rettificare in seguito al coro di critiche che si è levato contro di lui.

Se proprio vogliamo, possiamo inserire in questo elenco già abbastanza lungo per qualsiasi maggioranza e governo, anche il caso Miccichè, il boss siciliano di Forza Italia accusato di far uso di cocaina e di approfittare di beni dello Stato (l’auto di servizio) per procurarsela: se non ci si fa caso più di tanto è perché non è la prima volta che Miccichè finisce in vicende del genere.

Come sempre è accaduto, i partiti rispondono accusando i giudici di «fare politica». Anzi, per usare le parole di una nota ufficiosa di palazzo Chigi, «di fare opposizione» e di «preparare la campagna elettorale per le Europee» della prossima primavera.

Il fatto che Meloni scenda in campo, sia pure al riparo di una velina non firmata, contro i giudici dice quanto lo scontro abbia rapidamente assunto dimensioni preoccupanti.

Ma c’è da aggiungere che è lo stesso ministro della Giustizia Nordio a prendersela con i suoi ex colleghi togati. Secondo il responsabile di via Arenula sia il caso Delmastro – l’imputazione coatta – sia quello di Daniela Santanchè – l’ennesimo avviso di garanzia arrivato prima ai giornali e poi all’interessata – dimostrano «l’irrazionalità del nostro sistema giudiziario» che dunque ha bisogno di una profonda riforma, a cominciare proprio dall’avviso di garanzia su cui si annuncia una stretta, almeno per quel che riguarda la pubblicità degli atti.

Lo scontro quindi è totale, al punto che non è più chiaro quale sarà il destino di Santanchè e di Delmastro: inizialmente sono stati difesi (da Meloni) ma con una certa riserva, poi sono apparsi più vicini alle dimissioni; adesso che la premier ha sguainato la spada contro i magistrati potrebbero resistere ancora al loro posto. Sempre, naturalmente, che la loro posizione giudiziaria non si aggravi ulteriormente.

Pare che a palazzo Chigi stiano esaminando scenari di «complotto»: sarebbe la riforma Nordio del sistema giudiziario (che punta tra l’altro alla contestatissima divisione delle carriere) il motivo scatenante dell’offensiva dei giudici.

Qualcuno, però, allarga lo sguardo anche ad altri attriti tra il governo e l’alta burocrazia: si torna alla limitazione imposta ai poteri della Corte dei Conti sui fondi del Pnrr e si risale persino alle dimissioni dei più autorevoli saggi (Amato, Bassanini, Gallo, Paino) dalla commissione sulla riforma dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli. Non passa sotto silenzio che esponenti così legati ai circoli più elitari dell’amministrazione pubblica se ne vadano sbattendo la porta per contestare una riforma che disapprovano. E sono tutti segni di una guerra in atto.

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