Gli equilibri Usa
e i riflessi sul mondo

Nel festoso tripudio di «momento storico» e «vittoria della democrazia» che accompagna l’elezione di Joe Biden, nessuno sembra volersi porre questa domanda. Con lui al posto di Donald Trump molte cose saranno diverse, ma saranno anche migliori? Concentrarsi sul risentimento verso Trump non aiuta. Anche perché 71 milioni di americani (7 milioni più che nel 2016) lo hanno comunque votato, a dimostrazione che la sua presidenza in ogni caso ha soddisfatto consistenti gruppi sociali. Infatti, la maggioranza al Senato è ancora contesa. Se i democratici non conquisteranno i due seggi senatoriali che sono tuttora da assegnare in Georgia, la presidenza Biden nascerà zoppa, nella migliore delle ipotesi con il voto di un ramo del Congresso sempre in bilico.

In quel caso, potrà Biden rovesciare le politiche pro-petrolio e pro-carbone di Trump, che gratificavano tanti elettori? Potrà far rientrare gli Usa negli Accordi di Parigi sul clima, che non essendo un vero trattato non richiedono l’approvazione del Congresso ma solo la sua firma, ma scaricano costi maggiori sull’industria, quindi sugli elettori?

Questo è solo uno degli esempi di come gli equilibri interni agli Usa possono poi scaricarsi sul resto del mondo. Facciamo però l’ipotesi che il Partito Democratico ottenga il controllo di entrambi i rami del Parlamento. Biden ha già enunciato la sua visione dicendo che la Cina è «un concorrente» e la Russia «un pericolo». Sulla Cina ha anche aggiunto che, a seconda di come le autorità di Pechino si comporteranno, si andrà più o meno vicini a un confronto anche militare. Dobbiamo quindi pensare che la guerra dei dazi cominciata da Trump sarà proseguita da Biden? E che la tensione nel Mar Cinese meridionale potrebbe anche acuirsi? È inoltre facile immaginare che, se la Russia è un pericolo, difficilmente Biden cambierà la politica di sanzioni e rafforzamento a Est della Nato che peraltro ha anche caratterizzato la presidenza Trump. Sarà un caso ma dall’Ucraina già arrivano richieste per rovesciare lo schema degli accordi di Minsk, siglati cinque anni fa per tentare di pacificare il Donbass.

A queste due posizioni va aggiunta quella nei confronti dell’Europa, che Biden vuole improntare al disgelo. Ottimo. È noto, però, che le potenze hanno solo interessi, non ideali. Quindi, per tornare a sorriderci e cancellare i dazi, che cosa vorranno in cambio gli Usa del nuovo Presidente? Ragionevolmente, più impegno contro la Russia, che potrebbe tradursi in maggiori spese per la Difesa e per la Nato e, da parte degli Usa, in un accresciuto appoggio politico e militare ai Paesi più anti-russi come i Baltici, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Romania, l’Olanda, la Svezia. Per non parlare, fuori dalla Ue, del Regno Unito e dell’Ucraina. E magari la promessa che accentueremo la «guerra del gas», bloccheremo il Nord Stream 2, compreremo più gas dagli amici degli Usa come l’Azerbaigian della Tap. Sicuri che ci convenga e che tutto andrà liscio? E per opporsi alla Cina che cosa vorrà dall’Europa? Niente 5G della Huawei, ovvio. E poi?

E in Medio Oriente? Qualcuno davvero crede che Biden riporterà l’ambasciata Usa a Tel Aviv e tornerà a considerare illegali gli insediamenti di Israele? Che chiederà all’Arabia Saudita di non finanziare più i gruppi del jihadismo e a Erdogan di ritirarsi dal Kurdistan siriano? Che ripristinerà gli accordi con l’Iran che tanto dispiacciono a Israele? In queste ore di festa generale, lasciateci l’onore e l’onere di un pizzico di scetticismo. Non per simpatia per Trump o antipatia per Biden ma per rispetto per gli elettori democratici. Che per la Casa Bianca non hanno scelto un sovversivo ma una vecchia, simpatica e astuta volpe di Washington. Era un’elezione americana, non la Rivoluzione d’Ottobre.

© RIPRODUZIONE RISERVATA