Gli sfollati per il clima
Invisibili ma non al Papa

Sono invisibili. Eppure sono la maggioranza tra gli sfollati e i migranti. Facciamo finta di non vederli, ma la loro sofferenza è estrema, come i fenomeni da cui scappano. Si chiamano «sfollati climatici», finiti nell’occhio del ciclone a causa della devastazione della natura e diventati la categoria più ampia di poveri, risultato drammatico della irresponsabilità e del degrado innescato da cambiamenti climatici non gestiti, da conflitti armati, dalla lotta per le fonti di energia rinnovabili e non rinnovabili. È un grumo inestricabile di emergenza umana sempre più complessa, che nessuno tuttavia vuol vedere e solo la Chiesa denuncia nella sua esplosiva vulnerabilità. Già Benedetto XVI dieci anni aveva messo in guardia dallo «spostamento forzato» dei «profughi ambientali». Ieri la Santa Sede è tornata a descriverne l’amaro destino. Papa Francesco nella prefazione del documento denuncia ancora una volta l’oblio del mondo. I profughi ambientali stanno peggio degli altri perché senza diritti di protezione, senza la possibilità dello status di rifugiati. Sono tanti, tantissimi. Nel 2019 si contavano 51 milioni di sfollati. Ebbene 33 milioni sono sfollati climatici, il numero più alto di sempre.

L’anno scorso, primi sei mesi con la pandemia che ha sconvolto la vita, i rifugiati per disastri naturali sono già arrivati a quota 25 milioni. Ma le crisi climatiche assai acute sono poco studiate. Per molti governi semplicemente non esistono e il «negazionismo climatico» dà fastidio al Papa. Nondimeno il fenomeno, se continua ad essere sottovalutato, rischia di esplodere in modo dirompente. Il Papa trasforma così la famosa frase di Amleto «essere o non essere» in «vedere o non vedere» e spiega che «questo è il problema». La cause sono molte: desertificazione, scarsità d’acqua, tempeste, alluvioni e incendi. Tra il 2008 e il 2018 gli sfollati climatici sono arrivati a 253 milioni, dieci volte di più degli sfollati a causa dei conflitti.

E stanno anche peggio, «divorati», annota Bergoglio, «da condizioni che rendono impossibile la sopravvivenza»: «Partono pieni di speranza ma per lo più finiscono in bassifondi pericolosamente sovraffollati e aspettano il loro destino». Tuttavia loro storie non hanno effetto sull’opinione pubblica, che preferisce voltarsi dall’altra parte, ignorare un’emergenza che invece ha bisogno di «risposte globali». Il documento vaticano è un decalogo da mandare a memoria con risposte precise per affrontare la crisi a partire da una maggiore consapevolezza, anche accademica, per promuovere la ricerca sui cambiamenti climatici e i profughi in un tempo in cui, è la critica del documento, «gli studi sugli scenari futuri sono piuttosto vaghi».

Insomma la crisi climatica innescata dagli interessi dell’industria e della finanza sparisce nella nebbia con l’incognita, come Bergoglio aveva avvisato nel discorso ai diplomatici di quest’anno, di «derive antidemocratiche, populiste ed estremiste». Ma c’è anche il problema della consapevolezza scientifica del dramma del riscaldamento globale, negato da molti. Ieri non a caso è stato anche reso noto un messaggio del Papa in spagnolo inviato qualche mese fa al primo forum dell’Unesco su cambiamenti climatici e povertà, nel quale sottolinea che «dare risposte al riscaldamento climatico è un imperativo morale».

Il punto è cruciale, perché l’aumento della temperatura della terra di un grado e mezzo con relativo l’innalzamento dei mari di 77 centimetri, mette a rischio 145 milioni di persone che vivono sulle coste ad appena un metro sul livello del mare. Una soglia di pericolo sempre più vicina.

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