Grillini allo sbando, incubo elezioni

Era facilmente prevedibile che Sergio Mattarella non avrebbe accettato a cuor leggero la caduta del governo da lui messo in piedi per far fronte all’impotenza dei partiti. E infatti il capo dello Stato ha respinto le dimissioni presentategli da Draghi dopo lo «strappo» dei grillini. Decisione ineccepibile: il governo ha ancora una larga maggioranza sia alla Camera che al Senato (dove l’altro ieri, senza i fedeli di Giuseppe Conte, ha raggiunto quota 172 sì alla fiducia).

Trattandosi quindi di un problema di natura politica e non parlamentare, Mattarella – respingendo le dimissioni – ha rinviato Draghi alle Camere per chiarire la situazione. Il dibattito ci sarà mercoledì e, come si può immaginare, queste sono e saranno giornate di fuoco. Cosa possiamo aspettarci?

La prospettiva più logica sarebbe quella di un Draghi-bis. E cioè: con la maggioranza tuttora esistente, i ministri «contiani» si dimettono e vengono sostituiti ripartendo le quote degli incarichi proporzionalmente tra i partiti rimasti in maggioranza. È sicuro che questa è la soluzione alla quale lavora Mattarella convinto – come tutti in Europa e nel mondo, tranne a Mosca – che Draghi debba rimanere al proprio posto per affrontare il difficilissimo momento internazionale, economico, sociale e persino ambientale. L’ostacolo paradossalmente è proprio Draghi (ieri segnalato a Città della Pieve, il suo ritiro nella campagna umbra) che non ha alcuna intenzione di farsi logorare a fuoco lento da qui alle elezioni con un governo via via più debole e sotto il tiro dei grillini tornati alla loro versione primitiva, (quella del «Vaffa», delle occupazioni dell’aula parlamentare, del «no» a tutto nella speranza di far rientrare almeno una parte dei voti che hanno perduto fino quasi a sparire in vastissime zone d’Italia). È certo tuttavia che almeno una parte dei pentastellati non abbia condiviso la deriva di Conte: per esempio il ministro per i Rapporti con il Parlamento D’Incà, che giovedì aveva provato a fare una proposta di mediazione, ha detto chiaro e tondo di non condividere lo strappo con Draghi. Non solo: i ministri, viceministri, sottosegretari grillini che stanno per perdere la poltrona, hanno risposto picche a Conte che li invitava a dare le dimissioni spontaneamente. «Restiamo qui seduti finché si può», è stata la risoluta risposta. La circostanza è stata smentita dall’ufficio stampa di Conte ma tutti sanno che è vera. Si dice anzi che alcuni dei «ministeriali» stiano meditando di abbandonare Conte e di passare al partito di Di Maio restando così in carica.

Il problema è capire se Mattarella riuscirà a convincere Draghi a rimanere, ma il presidente del Consiglio, ricordiamolo, ha sempre detto: «Senza M5S non c’è più la maggioranza di unità nazionale che è alla base della nascita di questo governo».

L’alternativa al Draghi bis sarebbero le elezioni anticipate ai primi di ottobre, prospettiva molto problematica innanzitutto per gli italiani: quasi certamente perderemmo il grosso dei fondi del Pnrr e finiremmo oltretutto in esercizio provvisorio di Bilancio con lo spread alle stelle e la Borsa allo sprofondo. Se poi guardiamo ai calcoli di bottega dei partiti, il ricorso anticipato alle urne non converrebbe ai grillini che in gran numero sarebbero spazzati via dalla scena ben prima di quanto loro si aspettino. Neanche a Salvini la prospettiva dovrebbe piacere: stando ai sondaggi, le elezioni sancirebbero il primato di Fratelli d’Italia nella coalizione destinata a vincere le elezioni portando così Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Un’ipotesi che in Europa fa storcere il naso a parecchi ma che per Salvini sarebbe il peggio del peggio.

Insomma, ci sono alcuni elementi – a parte il malumore di Draghi – che farebbero pensare che si possa riuscire a tirare avanti. Ma le valanghe si sa, quando partono, non si riesce a governarle. Capiremo meglio mercoledì.

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