I bambini in vendita e il dramma Afghanistan

Secondo una regola non scritta del giornalismo, i fatti più importanti e gravi che hanno avuto risalto nelle prime pagine dei quotidiani e in testa alle scalette dei tg, dopo un po’ di giorni scivolano negli spazi secondari. È il principio del «chiodo schiaccia chiodo». A questa norma non è sfuggito nemmeno il dramma dell’Afghanistan, derubricato a notizia minore da altri, nuovi avvenimenti: il voto tedesco, le amministrative in Italia e le relative polemiche, il vertice mondiale dei giovani sul clima a Milano, il caso Morisi e la condanna dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano. Eppure proprio in queste settimane i talebani stanno confermando di che pasta sono fatti, un’ideologia brutale che applicando la legge islamica della «sharia» nella versione più estremista considera le persone come bersagli da perseguitare e uccidere, quando non si conformano a quel fondamentalismo.

Gli studenti coranici non sono cambiati rispetto alla prima esperienza di governo (1996-2001), reintroducendo il divieto di frequentare le università e di lavorare per le donne, tagliando le mani e impiccando in pubblico i ladri, dando la caccia a pallavoliste che negli anni della libertà hanno avuto il torto di giocare a capo scoperto e in calzoncini. Ma, come se non bastasse, gli afghani sono sottoposti ad altri dolori. Secondo un rapporto dell’Onu, entro un anno il 97% della popolazione vivrà sotto la soglia della povertà, in particolare in seguito a una carestia senza precedenti. Una persona su tre potrebbe morire di fame, due milioni di bambini sono denutriti e hanno bisogno di cure mentre si stima che senza un aiuto immediato in 18 milioni rischiano di non superare il difficile inverno. Così dallo Stato asiatico c’è chi cerca di fuggire. La situazione è talmente drammatica che molte famiglie disperate hanno iniziato a vendere le figlie oltre che tutti gli oggetti di casa per ottenere un po’ di denaro contante per acquistare cibo o per pagare i trafficanti che li porteranno in Iran, Tagikistan o Pakistan. Oggi un bambino vale 200 euro al bazar di Kabul, un adolescente 500. È una pratica traumatica messa in atto da famiglie sfollate dall’interno dell’Afghanistan, in fuga dai talebani e che oggi non hanno un lavoro né sanno come pagare l’affitto di una stanza. Chi compra fa dei bambini i suoi piccoli schiavi in casa e in bottega o, nel caso delle bambine, le mogli schiave. Non possiamo giudicare la scelta delle famiglie che vendono i figli: dovremmo trovarci nella loro situazione.

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha ammonito che i servizi di base del governo afghano sono prossimi al collasso totale, non essendoci soldi per pagare gli stipendi per chi ha ancora un lavoro su lasciapassare dei talebani, mentre le banche a Kabul limitano i prelievi a due dollari la settimana. Gli studenti coranici sono sotto sanzioni internazionali per terrorismo (comportano il blocco tra gli altri delle riserve di nove miliardi di dollari della Banca centrale afghana, congelati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna) e non si intravede a breve termine una via d’uscita, se non la fame, la miseria e la morte, con lo spettro della guerra civile.

Ma non va meglio a chi cerca di raggiungere l’Europa, respinto da muri e ostilità. La dittatura bielorussa usa i migranti che transitano sul suo territorio come armi, dirigendoli verso Lituania e Polonia: è la vendetta verso l’Ue dopo il nuovo embargo deciso da Bruxelles contro il regime di Alexander Lukashenko. Mentre la Lettonia ha irrigidito la legge sul diritto d’asilo, la Polonia sta completando una barriera di filo spinato lunga 100 km, permettendo ai profughi di sostare in una terra di nessuno al confine con la Bielorussia. È qui che in questi giorni sono morti di freddo una decina di afghani, compresa una famiglia con due bambini piccoli. In assenza di una politica migratoria comunitaria ogni Stato è sovrano di fare ciò che vuole e la Polonia ha il diritto di difendersi dalle mosse ritorsive di Minsk. Però esistono anche il diritto internazionale che protegge i migranti e il diritto d’asilo per chi fugge da guerre e persecuzioni.

Gli afghani vittime del gelo sono gli stessi per cui ci siamo indignati, preoccupati e commossi dopo il ritorno al potere dei talebani a Kabul. La Polonia è uno dei confini d’Europa: dov’è la Ue, solo intimorita dall’arrivo di profughi dall’Afghanistan? La tutela umana della persona, di qualsiasi persona, separa la civiltà dalle dittature. Com’è possibile che decine di afghani vengano lasciati in una boscaglia, senza cibo, ambienti riscaldati e servizi igienici, come se fossero bestie inselvatichite? Il governo polacco si professa difensore delle tradizioni e del cristianesimo, ma è un cristianesimo senza Cristo, ridotto a ideologia.

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