
L'Editoriale
Domenica 29 Giugno 2025
I giovani europei non vogliono combattere
MONDO. Gli italiani, ma del resto anche gli europei, giovani o anziani che siano, sono tutti convintamente pacifisti. Nel senso elementare del termine: aborriscono la guerra. Non c’è governo che li possa spingere a imbracciare le armi per qualsiasi guerra.
È oggi un dato fin troppo scontato, ma non lo è stato per nulla fino a ottant’anni fa. Non c’è stata generazione pre 1945 che non abbia partecipato nel corso della propria esistenza a uno o addirittura a due conflitti armati. E spesso si trattava di guerre non di difesa, ma di aggressione. Guerra hanno dichiarato i patrioti risorgimentali all’Austria-Ungheria. Guerra ha dichiarato l’Italia agli imperi centrali nel 1915. Non parliamo poi dell’Italia fascista: guerra portata in Spagna, in Etiopia, nel mondo intero.
L’aspetto più eclatante di rottura col passato in tema di guerra da parte degli italiani è che essi non sono più disposti a mettere in pericolo la vita nemmeno per la difesa del proprio Paese. Il problema era «di scuola» fino a tre anni fa. Si è proposto in tutta la sua tragicità quando il Vecchio continente si è ritrovato la guerra in casa, in Ucraina. Si è registrata da quel momento una spaccatura tra opinione pubblica e governi. Quest’ultimi, allarmati da un Putin che non nasconde la sua ambizione di ricostituire la vecchia Russia imperiale (e sovietica), si sono proposti di allestire un adeguato sistema di difesa e di deterrenza. La maggioranza dei cittadini, al contrario, si mostra invece ostile a qualsiasi programma di riarmo.
Ha fatto rumore la pubblicazione di un libro dal titolo assai eloquente: «Meglio sotto occupazione che morto». Non avrebbe fatto rumore l’uscita di Ole Nymoen – questo il nome dell’autore – se si trattasse solo della provocazione di un giovane giornalista tedesco freelance. Tutto lascia pensare invece che il suo proclama «Non combatterò mai per il mio Paese» esprima bene il sentiment della maggioranza dei giovani suoi connazionali. Sono indicative le rilevazioni demoscopiche. Queste attestano che, dal 2023, ossia da quando la guerra russo-ucraina è diventata una minaccia seria, il numero dei giovani tedeschi che hanno lasciato le forze armate è aumentato del 500%: uno su quattro dei 18.810 uomini e donne arruolati ha esercitato l’obiezione di coscienza. Se poi prendiamo in considerazione l’intera fascia dei giovani tra i 18 e i 29 anni, scopriamo che solo il 19% (ma per un altro istituto di ricerca si tratterebbe addirittura del 5%) sarebbe pronto a difendere la propria patria e quindi anche il proprio Stato democratico. Insomma l’imperativo categorico della Generazione Z è «meglio vivere sotto occupazione che morire per la patria e per la democrazia». Figurarsi «morire per Danzica», ossia morire per difendere la sovranità di un altro Stato.
Non abbiamo sottomano rilevazioni sull’orientamento degli italiani, ma non ci sembra azzardato dare per scontato che quel che vale per la Germania vale per tutta Europa, italiani compresi. L’Italia non è più, se mai lo è stata, un Paese di poeti, di santi e di eroi. Poeti pochi, santi ancor meno, eroi nessuno. Beato quel Paese – ammoniscono i saggi - che non ha bisogno di eroi. Così è stato, fortunatamente per noi, in questa lunga Golden Age postbellica. Ma chi ci assicura che così sarà anche in futuro? Non ci fanno conto né la Finlandia, né l’Estonia, né la Lettonia né la Lituania né in genere tutti i Paesi ex comunisti, oggetto dei desideri dello zar Putin.
Lungi da noi eccepire sulle scelte di vita di ciascuno. Sarebbe bene, però, prendere coscienza di una vera rivoluzione antropologica. Per secoli, millenni, è valso il mito dell’eroe che si immola per la propria patria. Dulce et decorum est pro patria mori (è bello morire per la propria patria) insegnavano i romani ai propri figli. Lo stesso principio ha ispirato i giovani che hanno fatto l’Italia, i fanti che hanno resistito sulle sponde del Piave, i giovani saliti sulle montagne per combattere l’occupante nazista e il collaborazionista italiano. Dopo ottant’anni di pace non ci sentiamo più figli di Marte. Siamo a pieno titolo figli di Venere. Speriamo solo di non doverci trovare nella tragica condizione di dover scegliere tra vivere sotto occupazione (e quindi senza democrazia) o morire.
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