I magnifici ventenni e la troppa denatalità

L’ANALISI. «Bagnaia e Sinner, i nuovi ragazzi d’oro». «Da Bagnaia a Sinner, il rumore dei ventenni». «Dal motociclismo al tennis: ventenni italiani sul tetto del mondo».

Per descrivere i successi sportivi che hanno fatto esultare milioni di italiani in questi ultimi giorni, non c’è stato titolo di giornale o di telegiornale che non abbia sottolineato la giovane età dei nostri nuovi beniamini o il connotato anagrafico che li accomuna. Come a dire, comprensibilmente, che è spesso dal succedersi delle nuove generazioni alle vecchie che possono arrivare sorprese inaspettate, vittorie meritate in discipline sportive che nemmeno consideravamo più come nostro possibile appannaggio.

Questo d’altronde non vale soltanto per lo sport, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando i vincitori del «Premio Leonardo» e gli studenti assegnatari delle borse di studio: «Da Sinner e compagni, a Pecco Bagnaia, sono stati grandi risultati – ha esordito il capo dello Stato -. Ma è importante vedere come, nei vari ambiti della convivenza, il nostro Paese, insieme agli altri con cui collabora, esprime eccellenza, esprime protagonismo, esprime grandi risultati di successo». E se è vero che il fattore anagrafico gioca un ruolo fondamentale - fosse anche solo per ragioni biologiche e statistiche - nell’affermazione di giovani italiani in campi sportivi, scientifici e lavorativi di cui magari fino a qualche anno fa non conoscevamo l’esistenza, allora non si può fare a meno di mettere in evidenza quanto detto subito dopo da Mattarella: «Abbiamo una giovane generazione che cresce che è una magnifica generazione – ha aggiunto -. Vorremmo fosse più numerosa, per la verità, e non fosse ridotta percentualmente, secondo gli indici demografici».

In queste poche parole del Presidente della Repubblica, s’intravvede un salutare cambio di paradigma rispetto alla consueta impostazione del dibattito pubblico sulla demografia nel nostro Paese. L’Italia, infatti, si è accorta solo di recente del proprio decennale «malessere demografico» (copyright: Antonio Golini), e per di più sembra preoccuparsene quasi solo in riferimento a posizioni di lavoro che nessuno riesce più a coprire o a pensioni future che nessuno riesce più a pagare. Siamo insomma assuefatti a un dibattito dai toni perennemente emergenziali e catastrofisti. E invece il «problema dei problemi» del declino demografico è proprio la perdita secca di potenziale sviluppo, benessere e innovazione che la nostra società si auto-infligge in tutti i campi con l’assottigliarsi numerico della «magnifica generazione».

Come calcolato da Neodemos.info, all’inizio degli anni ’80 gli under 15 erano nel Bel Paese 12,2 milioni, più numerosi di quelli residenti in Francia, nel Regno Unito e in Spagna. A distanza di 40 anni sono scesi a 7,5 milioni con una riduzione straordinaria di quasi 5 milioni. Oggi in Italia ci sono all’incirca 4 milioni di giovani in meno rispetto a Germania, Regno Unito o Francia. Secondo l’Istat, il calo non riguarda solo i giovanissimi: nel 1994 gli Italiani di un’età compresa fra i 18 e i 34 anni erano 15,2 milioni, oggi invece sono quasi cinque milioni in meno, cioè 10,3 milioni, appena il 17,5% della popolazione totale (contro il 19,6% della media Ue). A convincerci a cambiare rotta sulla natalità non saranno né gli squilibri statistici né quelli contabili del sistema previdenziale, ma dovrebbe essere proprio il rarefarsi della «risorsa fondamentale» della nostra società che – per citare l’economista statunitense Julian Simon – è l’umanità stessa, con la creatività e l’ingegno che ogni «magnifica generazione» mette in campo. Nello sport e non solo.

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