I nuovi 007, Draghi rivede gli interessi nazionali

La scelta di Draghi di nominare l’ambasciatrice Elisabetta Belloni a capo dei Servizi segreti italiani è stata salutata positivamente, perché è la prima donna ai vertici degli apparati di sicurezza e in quanto la decisione del premier segna una precisa discontinuità con il governo precedente. Il cambio di passo, però, può essere integrato da un altro osservatorio: quello dei rapporti fra Europa e Stati Uniti, che si stanno ridefinendo con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca dopo gli anni della tempesta di Trump. Il presidente americano, lo s’è visto con i vaccini e con il bazooka economico, sta accelerando. Draghi ha una reputazione internazionale consolidata e, forse, conta più del Paese che governa: da subito s’è dichiarato, senza sorprese, atlantista ed europeista, dando di sé l’immagine di una personalità organica a questa Amministrazione americana.

Europeismo e atlantismo si giocano insieme, imponendo all’Italia una collocazione priva di ambiguità, senza tentazioni velleitarie: nei rapporti con la Russia e nella competizione estrema con la Cina, i punti d’attrito. Questo non è avvenuto negli ultimi anni con alcune ombre tossiche, o comunque con scostamenti controversi verso Mosca, Pechino (l’accordo del 2019 sulla Via della Seta) e lo stesso Trump, senza dimenticare il sostegno iniziale di Di Maio ai gilet gialli francesi in funzione anti Macron. I Servizi di sicurezza sono parte della geopolitica, a maggior ragione oggi in cui la cooperazione convive con una durissima competizione. Aspettando di conoscere meglio la cifra diplomatica di Biden e mentre le democrazie si sentono sfidate dai regimi autoritari e dalla manipolazione del cyberspazio. Archiviando la precedente gestione dei Servizi, è stata fatta chiarezza su quale sia il posto dell’Italia, facendolo coincidere con la prospettiva di Washington.

Il premier, parlando da capo di governo e anche da leader europeo, si muove cioè dentro più spazi che si tengono fra loro, misurando l’evoluzione in Germania e in Francia e i nuovi rapporti di forza dopo la Brexit: la fine del lungo cancellierato di Angela Merkel e le incognite del voto di settembre, le difficoltà di Macron che alle presidenziali dell’anno prossimo dovrà vedersela di nuovo con Marine Le Pen. Il segnale pervenuto è che gli Usa ritengono importante avere in Italia collegamenti diretti e forti, dopo che il nostro Paese s’è rivelato fra i più fragili rispetto ai temi sensibili, e che l’uomo-cerniera è Draghi. In questa cornice, nell’orizzonte di rinsaldare i rapporti con Francia e Germania, si può leggere in modo parallelo la chiamata di Letta alla guida del Pd, un uomo che ha una corsia preferenziale nell’Europa che conta: non si spiega altrimenti l’avventura di un ex premier e di un accademico a Parigi per un incarico dove i costi superano le opportunità. Draghi quindi presidia una logica euro-atlantica come ha ben compreso anche Salvini.

Non si sfugge alla storia e alla geografia: l’Italia è parte integrante dello spazio economico tedesco e occupa una casella strategica e di frontiera nel Mediterraneo, dove l’America di Obama e Trump era arretrata e dove sono in ascesa Turchia e Russia.

In Libia siamo retrocessi dal centrocampo alle fasce laterali, il finale di un percorso oscillante. Ricomporre una trama consensuale per l’Italia, essere della partita nella chiarezza delle scelte strategiche da compiere, rilancia il ruolo negoziale di un Paese-ponte qual è l’Italia. Il rinnovo dell’apparato di sicurezza, in definitiva, è a tutela degli interessi nazionali: una garanzia per i partner atlantici, un richiamo in casa per chi intende remar contro.

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