I primi passi del governo tra poltrone e bandierine

Il governo ha completato la sua composizione nominando viceministri e sottosegretari: consueta ripartizione di poltrone e poltroncine tra i partiti, le correnti e i fedelissimi dei leader. Le opposizioni protestano per la presenza di quel tale che a Carnevale si mascherava da nazista, per Durigon che si dovette dimettere a suo tempo perché voleva intestare un giardino a Romano Mussolini, per vari altri esponenti contestati.

Non entra però il forzista che ha guai giudiziari in Calabria e Valentino Valentini, detto «l’inviato al Cremlino» di Berlusconi non andrà agli Esteri, come richiesto, ma al Mise. Non grandi notizie, in realtà: qualcosa ci farà scrivere Vittorio Sgarbi, promosso vice di Sangiuliano alla Cultura.

Piuttosto, quello di ieri è stato il primo Consiglio dei ministri a regalare parecchi argomenti ai critici della destra. Sulla giustizia innanzitutto: molti hanno visto una contraddizione tra gli orientamenti garantisti del Guardasigilli Nordio e i provvedimenti sui benefici negati ai detenuti che non collaborano. Nordio è un nemico del «fine pena mai», e già oggi – con il disegno di legge voluto più da palazzo Chigi che da via Arenula – viene considerato un ministro «commissariato» soprattutto perché Meloni si dichiara «fiera» del provvedimento restrittivo. Viceversa il ministro della Giustizia condivide il rinvio della riforma della giustizia penale varato dalla ex ministra Cartabia: pare che le procure d’Italia non siano ancora pronte ad attuarlo e dunque il governo si è preso due mesi «per mettere ordine all’organizzazione» anche se – si assicura – il Pnrr, per il quale la riforma è una delle condizioni richieste da Bruxelles, non corre alcun rischio.

Altro giro di vite: i rave-party. Sgombrato il capannone di Modena senza difficoltà, il titolare del Viminale Piantedosi (già capo di gabinetto di Salvini) ha operato con decisione al punto che il Consiglio dei ministri ha varato un disegno di legge che punisce con severità chi organizzi questi raduni illegali. Il ricordo di Viterbo, quando la ministra Lamorgese lasciò che la festa si concludesse senza far intervenire le forze dell’ordine, assume per il governo di destra un valore simbolico: «È finita la pacchia».

È lo stesso carattere che si dà ai provvedimenti sul Covid: la riammissione in servizio dei medici e degli infermieri no-vax viene spiegata con la necessità di utilizzare quei 4000 dipendenti in un sistema sanitario sotto-dimensionato rispetto alle necessità. Ma in realtà, proprio la mano benevola usata con i sanitari che rifiutavano il vaccino richiama molto da vicino la campagna che fece a suo tempo la destra chiedendo un giorno sì e l’altro pure le dimissioni di Roberto Speranza.

L’opposizione chiede: e il caro bollette? E le provvidenze a favore di famiglie e imprese per far fronte all’aumentare dei prezzi e dei mutui? Nel primo Consiglio dei ministri operativo non se ne è parlato anche se Meloni ha ripetuto che il governo intende «fare presto»: tutta materia per un’opposizione che però mostra ogni giorno la propria debolezza dovuta soprattutto alle divisioni e alle rivalità tra Pd, Cinque Stelle, Calenda e Renzi. Di loro poco Meloni si dovrà preoccupare, almeno per un po’. Piuttosto dovrà stare attenta all’attivismo di Matteo Salvini che cerca ogni giorno di attirare l’attenzione su di sé come vero motore dell’azione di governo. Da qui, dalla voglia di rivincita del leghista, dalle inquietudini di Berlusconi e dalle lotte di corrente dentro Forza Italia stanno già venendo i primi grattacapi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA