Il coraggio di dire che la mafia può finire

ITALIA. «La mafia è un cancro per la comunità civile, un’organizzazione criminale per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità».

Le parole di Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia ucciso in un attentato da Cosa Nostra nel 1980, risuonano nell’aula bunker di Palermo gremita di studenti per ricordare l’attentato di Capaci. Era il 23 maggio del 1992. Gli uomini di Cosa Nostra piazzarono il tritolo lungo l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi con il capoluogo siciliano, davanti a Capaci e all’Isola delle Femmine. Morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo.

La mafia sembrava invincibile in quei giorni. L’attentato a Borsellino e alla sua scorta rafforzarono questa impressione, lo scoramento abbatteva l’intero Paese. Lo stesso fecero gli attentati nel 1993. La mafia utilizzava le bombe. E invece lo Stato, ancora una volta, come col terrorismo all’indomani della morte di Moro, seppe reagire con un’incredibile mobilitazione delle coscienze. Come il comitato dei lenzuoli appesi ai balconi in segno di protesta e di solidarietà con la magistratura e le forze dell’ordine. E non dimentichiamo l’impegno incessante dell’associazione Libera fondata da don Ciotti. Le istituzioni tennero, l’azione di contrasto invece di indebolirsi si rafforzò, grazie anche a uno straordinario movimento di popolo, a cominciare dai siciliani. Gli assassini di Falcone e Borsellino sono tutti in galera nonostante i tentativi di depistaggio nelle indagini cui abbiamo assistito.

La mafia non paga, prima o poi i mafiosi vanno in galera, pochissimi muoiono nel loro letto. «La mafia può essere battuta ed è destinata a finire». Mattarella ieri ha ricalcato le parole stesse di Falcone: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni».

Naturalmente la mafia non è stata sconfitta. Ha solo cambiato volto, come un leviatano. Le risultanze processuali rilevano che Cosa Nostra ha messo da parte la strategia «militare» per mimetizzarsi meglio nella zona grigia per continuare i suoi affari sporchi. Insieme alle altre organizzazioni criminali, a cominciare dai clan della ’ndrangheta e della camorra, è diventata globale, si è estesa con i suoi traffici al Nord e in tutta Europa, continua a prosperare con il commercio di droga, il gioco d’azzardo e l’usura. La provincia di Bergamo non è immune a questa penetrazione territoriale, se è vero, come riportavamo ieri, che la presenza della mafia è certificata in un dossier di Libera, che ha mappato il territorio e parla addirittura di 55 vicende conclamate.

Ricordare Falcone significa sostenere le forze dell’ordine, tenere alta la guardia, perpetuare la sua memoria e quella degli altri servitori dello Stato caduti sul fronte della legalità, stare alla larga, smascherare e denunciare quel ginepraio di imprese che sanno di riciclaggio o di attività mafiosa, in un business sempre più radicato e sofisticato. Nella certezza che la mafia, presto o tardi, verrà certamente sconfitta, come ci ha ricordato il capo dello Stato. Quanto alle polemiche che hanno alimentato questa giornata, ci piace citare un’altra frase di Falcone: «Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA