Il futuro di Conte
nelle mani del Pd

Ormai il tema politico dei prossimi mesi è impostato: quanto durerà Giuseppe Conte a Palazzo Chigi? Chi lo sostituirà e, soprattutto, quale maggioranza cercherà di evitare le elezioni anticipate e di arrivare almeno fino all’elezione del successore di Mattarella nel 2021? Questa musica sarà suonata in ogni caso: sia che la Fase Due appena cominciata vada avanti e non ci faccia tornare alla quarantena; sia se viceversa la «ripresa» dovesse fallire il suo obiettivo di garantire contemporaneamente all’economia di tornare a girare e alla pandemia di regredire gradualmente.

Perché in entrambi i casi quello che si teme è che a settembre la crisi sociale si farà sentire molto pesantemente e questo governo, a cominciare dal suo presidente, non sembra in grado di reggere la tensione. Del resto, Conte si è proposto agli italiani durante la quarantena come la guida e il protagonista assoluto della lotta al Coronavirus e alla crisi economica conseguente, e se le promesse che ha fatto non dovessero essere mantenute, su di lui si concentrerebbe il malcontento popolare. Non sarà un caso che tutte le rilevazioni demoscopiche settimana dopo settimana diano in diminuzione il suo gradimento, anche se lo collocano sempre al primo posto tra i politici. Ed è significativo allora che il neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi proprio il primo giorno della ripresa attacchi a testa bassa tutta la politica economica di emergenza del governo, dicendosi convinto che, a forza di mance e non di investimenti, «tra settembre e ottobre ci sarà l’esplosione di una vera e propria emergenza sociale».

Questa critica, come si vede, investe non solo il ritardo con cui i soldi stiano arrivando nelle tasche degli Italiani ma soprattutto il criterio che è stato scelto per usare le risorse a disposizione. Se Confindustria, ora molto meno «romana» nella sua gestione, va all’attacco, a Conte resta una precaria pace coi sindacati che facilmente verrebbe meno in condizioni di vero scontro. Questo per ciò che riguarda il rapporto tra il governo e alcuni tra i più importanti segmenti della società italiana. Quanto ai rapporti politici, c’è da notare in primo luogo la freddezza dei grillini, gruppo di maggioranza relativa in Parlamento, che si accentuerà quando il governo accetterà le regole del Mes; e poi l’aperta critica di Matteo Renzi che ha ormai lanciato un ultimatum al presidente del Consiglio. Per questo tutti guardano all’atteggiamento del Pd, il partito governativo per eccellenza diventato il baricentro della maggioranza. Il Pd di Nicola Zingaretti per il momento tace ma si rende perfettamente conto di come la situazione si potrebbe rapidamente deteriorare, e non vuol essere certo trascinato a misurarsi a mani nude con le tensioni sociali.

Cosa produrrà tutto questo? Nessuno lo sa. Perché il governo «di tutti» con a capo l’ex presidente della Bce Mario Draghi è un’ipotesi al momento impraticabile, e altre formule non sono sul tavolo, compresa l’ipotizzata sostituzione di Italia Viva con Forza Italia. E dunque?

Dunque suoneremo questa musica senza sapere qual è l’ultima battuta sullo spartito. Forse è la cosa peggiore di tutte, la difficoltà di individuare una uscita di sicurezza. Nel 2011, al culmine della crisi finanziaria che stava travolgendo il governo di Berlusconi, Napolitano letteralmente si inventò un presidente del Consiglio investendo sul campo Mario Monti e affidandogli la missione di salvare l’Italia dal default. Oggi Mattarella ha meno margini del suo predecessore e una situazione politica più sfilacciata, difficilmente controllabile.

Conclusione. Per il momento vediamo come va la Fase Due e che effetti produce sul Paese nelle prossime due settimane: ci aiuterà a capire se la musica ormai impostata sarà suonata al ritmo di un «presto» o di un «prestissimo».

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