Il governo a destra: la frenata di Berlusconi

Politica interna. Domenica 12 febbraio si vota in Lombardia e nel Lazio e il centrodestra si interroga su che tipo di vittoria sarà. Già, perché tutto lascia pensare (salvo sorprese) che - anche come conseguenza delle scelte fatte dal centrosinistra e dai 5 Stelle - saranno Fontana e Rocca i nuovi governatori delle due regioni più importanti d’Italia. Dunque il problema è «come si vincerà».

Ad agitarsi di più è Silvio Berlusconi. Che sia vera o no l’indiscrezione (smentita) secondo cui il Cavaliere avrebbe votato più volentieri la Moratti, sta di fatto che la «deriva a destra» della coalizione ad Arcore non può piacere. Per la semplice ragione che tale deriva significa, in concreto, che Fratelli d’Italia non è più il partito romano-meridionale di qualche tempo fa ma ormai spadroneggia anche a Nord, anche in Lombardia, culla del berlusconismo e della Lega già bossiana. Dunque una stravittoria di FdI fatta tutta a spese di alleati in crisi come Forza Italia e Lega, non può non avere dei contraccolpi, se non altro - come è stato scritto - psicologici. Il drenaggio dei voti altrui che FdI sta facendo un po’ in tutta Italia rischia di rendere a breve la coalizione quasi un monocolore: già oggi Meloni da sola ha il doppio dei voti degli alleati messi insieme, e il tentativo di costruire qualche tempo fa una specie di federazione di berlusconiani e salviniani è fallito. Tutto questo domenica rischia di aggravare un malessere sotterraneo che le manifestazioni unitarie non riescono del tutto a dissimulare.

I continui richiami perché «Giorgia» non decida tutto da sola sono più che significativi di uno stato d’animo fatto di inquietudine e anche spirito di rivalsa. Peraltro lo abbiamo visto nella penosa vicenda Donzelli-Delmastro: Forza Italia e la Lega sono stati assai freddi nel difendere i due esponenti meloniani e nullo il loro aiuto per tirarli fuori dalla buca in cui sono precipitati, sicché Meloni si è trovata sola nel ripetere che i due non hanno alcun dovere di dimettersi dai loro incarichi nel Copasir e al ministero della Giustizia.

Contemporaneamente i due partiti non si sono uniti nell’attacco al Pd «alleato dei terroristi» ma hanno preferito glissare e parlar d’altro. Reazioni, ripicche, malumori.

In conclusione: i contraccolpi interni del voto regionale sono prevedibili e si tradurranno in tattiche parlamentari, qualche veto, qualche rivendicazione identitaria per sventolare la bandiera azzurra o verde-leghista. Però, però… è anche vero che Berlusconi e Salvini quali «margini di manovra» hanno, come si sarebbe detto nella prima Repubblica? Sono nella coalizione di governo e occupano posti di potere e sottopotere di tutto rilievo, basti pensare al ministero degli Esteri per Tajani e dell’Economia per Giorgetti; si apprestano a rivendicare la loro fetta di torta allorché si tratterà di fare le nomine nella grandi aziende pubbliche i cui vertici sono in scadenza ordinaria o «forzata».

Certo, mentre la Lega ha visto approvata finalmente la riforma dell’autonomia regionale differenziata cui tanto teneva (altro discorso poi che si realizzi in concreto, ma di questo avremo modo in futuro di scrivere spesso), Berlusconi non ha granché da propagandare. Le sue riforme liberali sono ormai un argomento assai datato e privo di mordente: non furono fatte quando da Arcore si governava l’Italia, è abbastanza difficile continuare a rivendicarle come programma del futuro.

Insomma, conteremo i voti dopo le elezioni lombarde e laziali. E, come aruspici, trarremo da quei numeri il vaticinio sul nostro immediato futuro governativo. Come un tempo si diceva della Dc, la maggioranza si fa in casa anche l’opposizione, essendo i partiti della minoranza parlamentare impegnati più che altro a farsi la guerra tra loro.

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