Il paradosso del Garante che viola la privacy

ITALIA. C’è qualcosa di pirandelliano nella vicenda che ruota intorno all’Autorità del Garante della Privacy e che vede come ultima puntata le dimissioni del segretario generale Angelo Fanizza.

Il comunicato dell’Autorità diramato a tarda sera non dà spiegazioni ma quello che s’intuisce è che potrebbe essere ricaduta sul dirigente la responsabilità di un’indagine interna troppo – diciamo così - invasiva sui dipendenti, condotta dopo l’inchiesta di Report per cercare eventuali «talpe». In pratica il Garante della Privacy ha violato la privacy. Una cosa davvero paradossale. Un po’ come se si sospettasse che all’Autorità nazionale anticorruzione si fossero intascate mazzette. O che a quella dell’Energia si favorissero i monopoli.

Ma proviamo a schiacciare il tasto «rewind». Tutto parte dalla notizia di un’assemblea dei lavoratori del Garante della Privacy che all’unanimità avrebbe sfiduciato l’intero collegio. Perché? Qui dobbiamo ricordare che il conduttore di Report Sigfrido Ranucci era stato multato dall’Autorità indipendente per aver diffuso una telefonata tra l’ex ministro Sangiuliano e la moglie.

Per tutta risposta Ranucci all’attività del Collegio ha dedicato ben tre puntate piuttosto aggressive. L’assemblea del personale dell’Autorità, circa 200 dipendenti, avrebbe discusso soprattutto del mandato di cui il Collegio avrebbe investito il segretario generale Angelo Fanizza, nominato lo scorso mese, vale a dire indagare sulla fuga di notizie che ha alimentato le puntate di Report. Dunque più che un segretario Fanizza avrebbe avuto il ruolo di ispettore, cosa non gradita ai dipendenti.

Per farla breve, durante l’assemblea e da vari confronti con la presidenza, i membri del Collegio e la dirigenza che ne sono derivati sarebbe emerso che tra le indagini ci fosse anche un controllo della corrispondenza dei dipendenti. Questo risalirebbe indietro addirittura fino al 2001.

Controllare la posta elettronica dei dipendenti è una violazione della privacy che ha basi costituzionali (articolo 15). Solo l’autorità giudiziaria può farlo

Non si fa. Controllare la posta elettronica dei dipendenti è una violazione della privacy che ha basi costituzionali (articolo 15). Solo l’autorità giudiziaria può farlo. La circostanza sarebbe apparsa così inaccettabile da provocare una sollevazione e chiedere le dimissioni dei quattro membri del Collegio. E a questo punto l’agnello sacrificale sarebbe stato Fanizza. Il quale, secondo il Collegio, non avrebbe mai proceduto al controllo ma solo fatto richiesta ai dipendenti.
Una vicenda ingarbugliata, dai contorni ancora oscuri, ma che suscita legittime perplessità sull’autorevolezza di un’istituzione che dovrebbe essere al di sopra delle parti e nella quale invece entrano da tutte le parti gli spifferi della politica, contagiata da una malattia pervasiva che è dura a morire: la lottizzazione, che in questo caso diviene scontro di potere.

L’Autorità del Garante della Privacy serve infatti a mettere ordine in un mondo dove i dati personali sono diventati merce pregiata. È un presidio nato quando Internet sembrava ancora un giocattolo, ma oggi è uno dei pochi argini reali contro abusi, fughe di informazioni e curiosità indebite di aziende e istituzioni

A questo punto a qualcuno verrebbe voglia di chiuderla e farla finita ma sarebbe un errore gravissimo. L’Autorità del Garante della Privacy serve infatti a mettere ordine in un mondo dove i dati personali sono diventati merce pregiata. È un presidio nato quando Internet sembrava ancora un giocattolo, ma oggi è uno dei pochi argini reali contro abusi, fughe di informazioni e curiosità indebite di aziende e istituzioni. Il Garante vigila su come enti pubblici e privati raccolgono, conservano e usano i nostri dati: dai cookie dei siti alle cartelle cliniche, dalle telecamere di videosorveglianza ai database delle grandi piattaforme digitali. Interviene quando qualcuno esagera, multa chi sgarra, obbliga a correggere pratiche scorrette e può perfino bloccare trattamenti rischiosi. In poche parole: difende la nostra riservatezza. Ed è davvero un paradosso che si sia comportato come il Grande Fratello con i suoi dipendenti, trasformandosi da Garante a «violante» della privacy.

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