
( foto ansa)
MONDO. Il dato meno clamoroso, almeno rispetto alle cronache che parlano di insurrezione a Los Angeles e San Francisco e di interventi delle forze armate, ma più interessante è che la valanga politica innescata dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sembra andare sempre più spesso a sbattere, perdendo quindi velocità.
Solo qualche esempio. Il «caso Signal» con la tragicomica fuga di notizie sui bombardamenti contro lo Yemen, poi costata il posto al consigliere per la sicurezza nazionale Micheal Waltz. La clamorosa lite con Elon Musk, imbufalito dopo essere stato sollevato dall’incarico di grande censore della spesa pubblica, con scazzottate nascoste (si dice che l’occhio nero gliel’abbia fatto il segretario al Tesoro Scott Bessent), accuse velenose (sei un drogato, sei un pedofilo), minacce (ti tolgo gli appalti federali, fondo un partito contro di te) e preoccupazioni più concrete, perché Musk con i suoi satelliti è una risorsa fondamentale dell’apparato anche militare degli Usa. Poi l’avanti-indietro nelle relazioni internazionali, con tanti progetti (dalla pace in Ucraina all’accordo sul nucleare con l’Iran, dalla tregua a Gaza allo scontro commerciale con Cina e Ue) a lungo annunciati e mai realizzati. E adesso, appunto, la rivolta della California, con epicentro Los Angeles, innescata dai raid della polizia intenta ad arrestare decine di immigranti irregolari, o presunti tali.
Nel gennaio del 2017, aveva dichiarato di voler espellere 11 milioni di immigrati, compresi gli immigrati legali che avevano commesso reati e non erano ancora stati arrestati. E anche adesso il presidente non va tanto per il sottile
Il tema dell’immigrazione è stato uno di quelli portanti della campagna elettorale che ha rimesso Trump alla guida degli Usa. E la prima legge del suo secondo mandato approvata al Congresso, la Laken Riley Act, riguarda appunto l’immigrazione irregolare e prevede la detenzione fino all’espulsione per gli stranieri trovati senza documenti e per i richiedenti asilo colpevoli di reati minori come il furto o il taccheggio. È una vecchia fissazione di Trump che già agli inizi del primo mandato, nel gennaio del 2017, aveva dichiarato di voler espellere 11 milioni di immigrati, compresi gli immigrati legali che avevano commesso reati e non erano ancora stati arrestati. E anche adesso il presidente non va tanto per il sottile: nel marzo scorso ha annunciato la revoca della protezione legale per 532mila rifugiati di Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela, varata nel 2022 da Joe Biden non solo per accogliere gli oppositori dei diversi regimi ma anche per avere un maggior controllo sugli ingressi nel Paese.
La California, poi, è il pentolone più tipico di questo minestrone ribollente. La popolazione di immigrati è di circa 10,6 milioni di persone, pari al 27% della popolazione totale dello Stato e al 22% della popolazione americana nata fuori dai confini Usa. Un lavoratore californiano su tre è un immigrato. Se invece si considerano gli immigrati e i figli di immigrati, tale percentuale sale al 50%. Il numero dei migranti irregolari è stimato intorno ai 2 milioni di persone. Ci sono quindi problemi oggettivi di emarginazione sociale e criminalità, ma altrettanto oggettivi vantaggi: senza il lavoro degli immigrati la California non potrebbe avere la quarta economia del mondo, dopo Germania, Cina e Stati Uniti e prima del Giappone, con un Prodotto interno lordo di 4,1 trilioni di dollari (2024).
A rendere ancor più delicata la disputa c’è il fatto che lo Stato della California, da sempre, è fedele al Partito democratico. Cosicché ora, invece di collaborare, le autorità federali (Trump ma anche il capo dell’Fbi Kash Patel) di stampo repubblicano e quelle californiane di stampo democratico (il governatore Gavin Newsom e la sindaca di Los Angeles Karen Bass, la prima donna a rivestire tale carica) sono impegnate in un braccio di ferro di insulti (Trump chiama Newsom «feccia», questi gli dà del «dittatore») e di reciproci dispetti (Trump mobilita la guardia nazionale, Newsom lo denuncia per abuso di potere) che certo non contribuiscono a risolvere la situazione.
Come si diceva, l’immigrazione irregolare è un innegabile problema per gli Usa, e non da oggi. Ma come per il deficit di bilancio e Musk, la sfida commerciale con la Cina o la pace in Ucraina, la vera domanda è: il «metodo Trump» aiuta a risolvere i problemi o contribuisce a complicarli? C’è da scommettere che anche molti americani se lo stiano chiedendo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA