Il Ponte sullo Stretto e la Sicilia che viaggia a 43 km orari

Attualità. Giù, a rotta di collo, per quasi mille chilometri. Poi si rallenta, ma non troppo, per i successivi 440. È l’Italia, dal nord fino alla banchina di Villa San Giovanni, dove i traghetti dello Stretto fanno avanti e indrè per quei tre chilometri e spicci.

Lì, secondo i riesumati programmi governativi, tra chissà quanto avremo il ponte. Ma che dico ponte: il re dei ponti. Il ponte dei ponti. Roba che non hanno fatto da nessuna parte nel mondo. La faremo noi, tra Scilla e Cariddi. Il ponte sullo Stretto è come i film di don Camillo: se t’eri perso la 999ª replica, stai sicuro che prima o poi, ma più prima che poi, il tuo zapping si fermerà sulla numero 1.000. Dunque eccoci qui a riparlare del Ponte che, se bazzichi la Sicilia, prima o poi te lo domandano: lo vorresti o no, il ponte? Certo che sì, verrebbe da dire: dopo quasi 1.300 km una certezza non si disdegna, al posto della lotteria del «ferribòt». «It’s incredible that there is not a bridge», ci ha detto l’ultima volta, con un tono di semi-rimprovero, un americano sotto i 38 gradi del molo.

E allora vai a spiegargli che, nell’ordine. Sotto lo Stretto passa una faglia che nel 1908 ha generato un terremoto con tsunami annesso e, malcontate, circa centomila vittime nel Messinese. Che le correnti dello Stretto ricordano quelle di un fiume in piena (quando i fiumi avevano ancora le piene). Che il vento, lì, non è un optional: è di serie, sempre. E il vento non è proprio amico amico di un ponte a campata unica lungo tre chilometri. Che nell’arco di qualche centinaia di chilometri, in quell’area, sussistono numero 5 vulcani attivi, alcuni anche particolarmente nervosi: Etna, Vulcano, Lipari, Panarea, Stromboli. Più i tre che stanno più a nord: Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia. La zona non s’addice, a naso, per un’opera tanto ardita. Ma su questo tecnici, ingegneri e progettisti saranno Cassazione.

Noi prendiamo solo nota di qualche numeretto, che aiuta sempre a ragionare. Perché dal nord a Salerno, come si diceva, sia in auto che in treno ci s’arriva a rotta di collo. In auto anche fino al molo: la famigerata Salerno-Reggio Calabria non è più famigerata, anzi. Ma in treno? Fino a Salerno si viaggia a circa 150 di media: 5,5 ore per 800 km. Da Salerno a Reggio (ma con i Frecciargento, altrimenti addio) si scende a 120. Lì si troverà il ponte, che sarà anche ferroviario. Ma poi? Da Messina a Trapani, 330 km, servono 8-9 ore. Da Messina a Siracusa, 160 km, 3 ore. Da Catania a Palermo, 210 km, 4,5 ore. La media è presto fatta: in Sicilia in treno si viaggia, spesso su binario unico, a 43 orari di media. Più o meno la media del Laos. E le autostrade, tra frane mai sistemate e cavalcavia dimezzati, non sono tanto meglio. Dunque l’obiezione sorge spontanea. Ma prima di collegare la Sicilia al resto del mondo, non va collegata la Sicilia con se stessa? Prima di portare lo Stretto nel futuro, non sarebbe il caso di portare la Sicilia quantomeno nell’età del ferro? Sarà meno appariscente, meno da photo opportunity col plastico. Ma sarebbe più utile. E il nostro turista americano se ne farà una ragione: d’altronde, col ponte già fatto si sarebbe perso l’arancino al pistacchio e il cannolo di pecora del traghetto. Che restano pur sempre un bel modo per digerire quella mezz’ora un po’ retrò.

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