Il ponte sullo Stretto, lo stop al progetto e i doveri della Corte

ITALIA. La Costituzione italiana (articolo 100) stabilisce che «la Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato».

Basterebbero queste disposizioni costituzionali a rendere del tutto superflua la reazione del Governo alla decisione - molto probabilmente ben ponderata - delle sezioni unite della Corte. Essa non ha fatto altro che valutare, sul piano della legittimità, il progetto di costruzione del ponte di Messina. Al riguardo sessanta anni fa Arturo Carlo Jemolo, intellettuale di indiscussa fama, affermava che il «controllo di mera legittimità non equivale a controllo puramente formalistico; esso comprende l’individuazione delle ragioni sostanziali dei provvedimenti di spesa e la ricerca del nesso tra i singoli atti di gestione». Il veto apposto dai magistrati contabili non fa altro che rendere operante l’opinione del grande giurista. Essi hanno assunto una decisione proprio sulla base di valutazioni riguardanti le ragioni sostanziali del rifiuto di accoglimento del progetto.

Lo stop alla scelta del Governo

Sullo stop alla scelta del Governo, la coalizione di centrodestra si è mossa con granitica compattezza, sostenendo che la Corte dei Conti si mette di traverso, di fatto esautorando l’esecutivo dalle sue competenze. In soldoni, giudicando la decisione della magistratura contabile come «un’invasione di campo» a danno della politica. La realtà dei fatti dimostra l’esatto contrario, poiché la Corte ha operato sulla base di prerogative previste dalla Costituzione, chiarendo che entro trenta giorni verranno resi noti criteri e sostanza della scelta compiuta. Sulla vicenda il coro delle forze politiche di governo è stato unanime e martellante. Al solito, Matteo Salvini è partito a testa bassa, affermando «andremo avanti», con ciò facendo intendere che egli non riconosce nemmeno l’esistenza della magistratura contabile. Dal canto suo, Giorgia Meloni ha incitato il suo partito a non entrare nel merito dello stop al progetto governativo, ma di insistere sull’«invasione di campo» operata dai magistrati. In sintesi, «i giudici fermano l’Italia».

La reazione della maggioranza

Il vero paradosso sta proprio in questa pretesa ingerenza, essendo la Corte obbligata ad esprimersi con il controllo preventivo di legittimità sull’operato dei poteri pubblici in materia contabile. Non farlo significherebbe abdicare da un ruolo specifico e preciso indicato dalla Carta fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano. All’opposto, la scomposta reazione della maggioranza conferma la tendenza di ritenere che, avendo vinto le elezioni, il governo è libero di agire senza limiti. Palesemente tale approccio contrasta fortemente con l’esigenza - ripetutamente richiamata dal presidente della Repubblica - di non alterare l’equilibrio dei poteri costituzionali. Monito, quello di Mattarella, che sembra essere indigesto a larga parte dei rappresentanti della maggioranza. Al riguardo, non si può nascondere il rischio di scelte che non tengono conto del fatto che, nelle democrazie, la legittimità delle decisioni diventa legittimazione soltanto se i poteri pubblici operano senza scalfire la legalità del loro operato.

Non è facile dire quali saranno i risultati dell’ennesimo scontro tra Governo e magistratura, ma emerge un elemento di sostanza sul quale il governo avrebbe dovuto riflettere. Invece di gridare al complotto, sarebbe stato meglio dichiarare che l’esecutivo si riserva di giudicare le ragioni del veto posto dalla Corte. Rispetto all’accusa ai magistrati contabili di essere parte di una congiura contro l’esecutivo, vale la pena di rammentare l’ultimo comma dell’articolo 100 della Costituzione, secondo il quale «la legge assicura l’indipendenza dei due Istituti (Consiglio di Stato e Corte dei Conti, ndr) e dei loro componenti di fronte al Governo».

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