Il primato Usa nel mirino della Cina

Il ventesimo congresso del Partito comunista dell’Urss segnò la fine del culto della personalità di Stalin. Il ventesimo congresso del Partito comunista della Repubblica popolare di Cina, concluso sabato 22 ottobre, ha invece segnato la nascita del culto della personalità di Xi Jinping, segretario del partito dal 2012, presidente della Repubblica dal 2013 e ora ufficialmente confermato per un terzo mandato, il che già ora fa di lui il leader cinese più longevo al potere dopo Mao Tse Tung.

Den Xiao Ping, che negli anni Ottanta e Novanta si era incaricato di seppellire il maoismo e avviare le grandi riforme che hanno messo in moto la Cina, aveva preso ad esempio proprio l’Urss, e la penosa senescenza dei suoi leader, per imporre la regola non scritta dei due mandati. Xi ha cambiato le regole, e non solo: è riuscito a cambiare anche lo statuto del Partito, che ora gli riconosce un ruolo di «nucleo» del movimento comunista cinese.

La consacrazione di tutto questo si è avuta con lo psicodramma che ha in effetti chiuso il congresso. Seduto accanto a Xi c’era Hu Jintao, 79 anni, prima di lui per dieci anni Presidente. L’anziano dirigente è stato avvicinato da un funzionario che lo ha quasi sollevato dalla poltrona e l’ha accompagnato all’uscita. Un’umiliazione pubblica, sotto gli occhi dei duemila delegati, che è servita a seppellire politicamente una stagione in cui le decisioni erano prese in modo più collegiale e un certo dibattito, almeno ai massimi livelli, era discretamente tollerato. Gli spifferi di Pechino sostengono che Hu Jintao avrebbe avuto intenzione di presentare una mozione per chiedere le dimissioni di Xi Jinping, potendo contare sul voto di quattro dei sette membri dell’ufficio politico del partito e sul sostegno di un folto gruppo di oligarchi e industriali contrari allo scontro con gli Usa e favorevoli a una politica più aperta ai commerci e agli affari.

Questa specie di colpo di mano procedurale sarebbe stato sventato e Hi Jintao sottoposto alla gogna congressuale. Una tesi che trova qualche elemento di conferma nel fatto che proprio quattro membri permanenti dell’ufficio politico sono stati sollevati dall’incarico (tra loro anche Wang Yang, che aspirava a succedere a Xi Jinping) e che la purga ha investito anche altri dirigenti, tra cui il governatore della Banca Centrale Yi Gang, il premier Li Keqiang e il vice-premier Han Zheng. Promossi invece i più stretti collaboratori di Xi e i suoi fedelissimi.

Comunque sia andata con Hu Jintao, ora il Partito comunista, e quindi la Cina, sono modellati sulle idee di Xi Jinping, a cominciare dal solenne inserimento nello statuto del rifiuto di qualunque forma di indipendenza di Taiwan rispetto alla Cina continentale. Questo significa che dobbiamo aspettarci un sostanziale prolungamento dell’atteggiamento visto finora. La Cina di domani somiglierà moltissimo a quella di ieri: attiva e orgogliosa, non più disposta a nascondere le proprie ambizioni, decisa a contestare ovunque il primato degli Usa e a estendere il raggio di un’espansione economica oltre i confini a dispetto delle difficoltà di crescita dentro i confini. Impegnata, tra l’altro, a costruire un esercito e una marina a prova di molte sfide. E fedele a un’alleanza con la Russia che, a dispetto delle diverse dimensioni e struttura, le è necessaria, per due ragioni: alimenta con gas e petrolio la fame di energia delle sue industrie e, con la guerra in Ucraina, affatica i comuni rivali americani e aggrava il loro fardello di gendarmi del mondo.

Qualunque cosa si pensi della Cina, delle sue politiche, degli strumenti repressivi usati a Hong Kong e nello Xinyang musulmano, non si può non riconoscere a Xi Jinping una grande abilità di manovra, fuori e, come abbiamo appena visto, anche dentro il Paese. La sua vittoria congressuale non può essere letta solo come il risultato di una congiura di corridoio. Deve invece essere interpretata come l’affermazione della classe dirigente cresciuta e maturata in questi anni all’ombra del suo potere, una leva di funzionari e tecnocrati più giovani (gli epurati di questi giorni sono tutti coetanei di Xi) che hanno molti anni per lasciare un segno nella politica cinese. E che paiono assolutamente decisi a farlo.

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