Il programma elettorale è già scritto ed è il Pnrr

Il pronti-via della campagna elettorale già ci consegna una pioggia di luccicanti promesse, propinate in particolare da quelli che hanno buttato giù il Governo che forse poteva realizzare le più sensate. Si legge di tutto: pensioni minime a mille euro, un milione di nuovi alberi, barche di migranti in mezzo al mare, scostamenti di bilancio (debito), condono fiscale chiamato pace, pensioni anticipate, salari minimi e aumenti di stipendio.

Lo segnaliamo non per moralismo, la politica ha le sue pulsioni, né nella ingenua speranza che gli elettori sappiano liberamente distinguere le patacche dalla serietà, visto che già andiamo incontro ad un periodo gramo. Vorremmo solo far presente che da qui al 2026 il programma vero è già scritto, si chiama Pnrr, e prevede 527 interventi di «rilevanza europea» e 621 di «rilevanza italiana». Non possiamo far finta di non sapere cosa c’è scritto nella realizzazione italiana del Recovery europeo da 750 miliardi, 220 dei quali al Paese che per primo sperimentò la durezza del Covid (la svolta venne dopo le foto delle bare di Bergamo).

Sappiamo bene che è un po’ brutto, in una democrazia come la nostra, dire che per 4 anni, almeno per l’80%, tutto è già deciso: soldi contro riforme. Potevamo fare come altri che hanno respinto i soldi a fondo perduto per avere le mani più libere. Ma abbiamo accettato con gioia. Dopo i pasticci di Conte, Draghi ha riscritto anche le virgole. E tutti, o quasi, hanno approvato.

Adesso, in campagna elettorale si può certo dire che ci abbiamo ripensato, che preferiamo abbattere la Fornero e tanti saluti. Se ti votano per questo, avrai le tue soddisfazioni. Tutti più liberi e belli, che ce ne importa del Pnrr, alla faccia dell’inflazione, della guerra e della pandemia. Poi magari arriverà da Bruxelles anziché il bonifico la troika, ma intanto, evviva, abbiamo fatto due punti in più nelle urne. Durante la recente crisi, a far traboccare il vaso sono state due paroline: taxi e balneari, una vera «provocazione», si è detto. Peccato che, sempre il giorno dell’approvazione del Pnrr, nessuno avesse eccepito che il piano parlava proprio di applicazione di una direttiva del 2006, che il governo Conte 1 aveva addirittura rinviato al 2033, 27 anni dopo! Bastava insomma ricordare che tutto era già stato accettato e forse ci saremmo risparmiati una crisi straziante, una sceneggiata indecorosa.

Anche in era Draghi non tutto è stato perfetto, ci mancherebbe. Secondo Openpolis, l’adempimento italiano del piano, spedito il 29 giugno, non era impeccabile. Non tutte le richieste erano state rispettate: 7 su 11 (più 7 precedenti), a detta dell’osservatorio. E anche prima non siamo sicuri che tutto fosse rispondente alle condizioni prescritte. È proprio da organismi europei che è arrivata una critica non da poco alla riforma della Giustizia.

Ma allora, se anche Draghi non ha fatto scrupolosamente i compiti a casa (chissà che faranno quelli che verranno), perché abbiamo già ricevuto 21 miliardi? Viene il sospetto che a Bruxelles abbiano guardato solo la firma della lettera di accompagnamento, quella stessa che è ancora sugli euro in circolazione. Di nuovo, è molto brutto pensare che in una democrazia come la nostra, a Draghi i miliardi vengano spediti senza obiezioni e, tanto per dire, con Savini o Meloni si farebbero molte storie. La sovranità popolare, che pur è cosa diversa dai sondaggi, è sacrosanta, e va difesa sempre, ma siamo onesti, le cose bisogna meritarsele. Il Paese ha un debito che viaggia verso i 3.000 miliardi, e ora è incalcolabile la somma di quello che già si sta stampando sui volantini elettorali. I Paesi dell’austerità tornano a considerarci cicale pericolose, mentre torna il patto di stabilità e Francoforte compra sempre meno i nostri titoli di Stato. La tempesta perfetta si avvicina, e noi che cosa voteremo?

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