Il traino dell’Italia è ridotto a 4 regioni

ECONOMIA. L’ultimo rapporto Istat ci regala una buona e una cattiva notizia per l’occupazione italiana.

Quella buona è che nel primo trimestre 2023 gli occupati sono cresciuti di mezzo milione: siamo all’ottavo trimestre consecutivo (due anni, quindi) in cui si osserva un aumento tendenziale (che significa anno su anno). Come già ci ha spiegato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue considerazioni finali, la fine di maggio scorsa, dopo

la pandemia gli «spiriti animali» italiani si sono risvegliati e hanno voglia di produrre, di investire, la domanda sta aumentando (il riflesso negativo è l’aumento dell’inflazione soprattutto per gli alimentari e la ristorazione) e l’occupazione cresce, anche se non è impetuosa. La notizia cattiva riguarda il Mezzogiorno. È l’unica area d’Italia in cui aumenta la disoccupazione nel primo trimestre 2023, anche se di poco e comunque a fronte di un trend positivo anche per l’occupazione (minore rispetto al Nord). Significa che nel Mezzogiorno chi perde il lavoro fa fatica a ritrovarne uno. Ma soprattutto, dice sempre l’Istat, in assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, la forbice tra il reddito dei cittadini del Sud e la media Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi ancora di più.

La causa di questa situazione macroeconomica è proprio il ritardo dell’occupazione nelle regioni del Sud. E in futuro la situazione potrebbe addirittura peggiorare: «Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa», dicono i ricercatori dell’istituto.

I dati emergono dall’analisi della cosiddetta politica di coesione, ovvero la politica di investimento dell’Unione europea che cerca di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni del continente, e che prevede risorse ingenti: tra 2021-2027, assorbirà 330 miliardi di euro. Ma i soldi non bastano per colmare i divari: servono investimenti, progetti, piani, collaborazione tra imprenditori e istituzioni, politica del lavoro. Altrimenti il Mezzogiorno diverrà sempre più vecchio e stanco: vedrà i suoi figli emigrare e si ridurrà a un deserto produttivo. Nonostante le potenzialità negli investimenti siano enormi (pensiamo al turismo e al digitale).Queste politiche in Italia coinvolgono 19 milioni di abitanti, e un numero crescente di regioni. Il risultato negli ultimi 20 anni? Le regioni italiane continuano a crescere molto meno della media dei 27 Paesi dell’Unione. Anzi, vanno sempre peggio. «Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo», dice l’Istat. Il che significa che il Nord è sempre più europeo e il Sud sempre meno. Anche se è fatale che il Sud funzioni da zavorra trattenendo il Nord. E infatti la disoccupazione è come un cancro che risale verso Nord lungo la dorsale appenninica.

La controprova? Nel 2000 erano 10 le regioni italiane fra le prime 50 macro-aree europee per Pil pro capite a parità di potere d’acquisto, (il criterio tenuto in considerazione per misurare la potenza economica di una regione). Venti anni fa, inoltre, non c’era nessuna regione italiana tra le ultime 50 della classifica europea. Nel 2021 nelle prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta). Tutte le altre sono scomparse dalla classifica. Per non parlare delle quattro divenute fanalino di coda della classifica europea: Calabria, Sicilia, Puglia e Campania. E la differenza la fa una cosa sola, ci spiega l’Istat: l’occupazione. Il lavoro che non c’è. Eppure i segnali di ottimismo ci sono.

Perché migliora l’occupazione in Italia (anche se è una crescita squilibrata). In ogni caso, come abbiamo visto, continua a migliorare ininterrottamente da due anni. Nella nota sul mercato del lavoro nel primo trimestre l’Istat indica un aumento di 513mila occupati rispetto al primo trimestre 2022 (+ 2,3%) e una crescita rispetto al trimestre precedente di 104mila unità (+0,4%). Tra gli altri dati sul primo trimestre 2023, l’Istituto segnala un «rilevante» aumento del costo del lavoro. Non è difficile affermare che la grande occasione dei Pnrr, ovvero delle ingenti risorse messe in campo dall’Unione per sviluppare il tessuto produttivo italiano, affrettando la transizione ecologica, è un’occasione da non perdere. Saprà l’Italia, soprattutto il Sud, cogliere l’occasione?

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