Il voto tedesco
L’Italia in attesa

La fine dell’era Merkel e l’avvio di una nuova stagione politica in Germania sotto le insegne (ma non le sole) dei socialdemocratici cadono in un’Europa tanto impegnata ad immaginarsi un futuro nel mondo della transizione ecosostenibile quanto frammentata e incerta sui nuovi equilibri geopolitici. Questa coincidenza pesa tanto più in Italia dove una politica imballata è come sospesa dal commissariamento Mattarella-Draghi e dovrà affrontare prove importanti per cercare di riprendersi un ruolo. Ora ci sono le elezioni amministrative, poi in febbraio bisognerà eleggere il Capo dello Stato e da lì si capirà se la tribolata legislatura nata nel 2018 terminerà anzitempo o arriverà fino al 2023 per impostare i progetti di spesa del Pnrr (Piano nazionale ripresa resilienza). Si dirà: cosa c’entra la Germania in tutto ciò? C’entra, eccome. Innanzitutto per la ragione che dipende moltissimo dagli orientamenti di Berlino la linea di politica economico-finanziaria dell’Unione: ora viviamo una stagione «accomodante» per permetterci di risanare le devastazioni della pandemia; ma c’è chi vorrebbe tornare ai tempi del patto di stabilità «rigorista» alla Schauble, lo ricordate l’arcigno ministro delle finanze della Germania ai tempi della crisi finanziaria?

Certo, con il socialdemocratico Scholz alla Cancelleria il rigore dovrebbe essere attenuato ma se la Spd si dovesse alleare con i liberali per avere la maggioranza al Bundestag, per noi - come avverte Romano Prodi - sarebbero problemi seri. I liberali pretenderebbero proprio la poltrona che fu di Schauble per tentare di ripristinare la vecchia politica di bilancio. È vero che Scholz ha detto che «sulla flessibilità non si torna indietro» ma è anche vero che lui non ha vinto così tanto da poter seguire un suo orientamento senza fare compromessi, e i liberali sarebbero alleati assai ostici.

Si capisce dunque solo da questi pochi elementi quante cose dipendano dalla Cancelleria tedesca. Ma anche tante speranze: per esempio ora nel centrosinistra italiano si torna a sperare in una vittoria alle prossime elezioni, «dalla pandemia si esce a sinistra» continua a ripetere Enrico Letta le cui (scarse) certezze si basano su un’alleanza più che zoppicante con il M5S che si accinge ad entrare nel gruppo parlamentare europeo del Pse. Quanto poi i grillini siano divisi tra loro e timorosi del futuro è cosa nota.

Se ora i Popolari non sono più la potente famiglia che governa mezza Europa (persa la Germania, sono leader in sette Paesi dei quali il più importante è l’Austria, per dire) sta di fatto che proprio le elezioni tedesche testimoniano la brusca frenata delle ambizioni della destra sovranista della Afd cui dall’Italia guarda la Lega. Almeno quella di Matteo Salvini, ma non quella di Gianfranco Giorgetti che, con la crisi Morisi che sta deflagrando con grave imbarazzo per il segretario, chiederà con più forza una svolta moderata, europeista e in definitiva «draghiana» per dire basta alla corte fatta ai segmenti populisti della società italiana, no-vax compresi. Ê possibile che il combinato dello scandalo Morisi e delle elezioni amministrative di ottobre con il vento nuovo in Europa e le grandi manovre per il Quirinale producano nella Lega una seria crisi di leadership.

Chi sembra invece scarsamente permeabile a questi movimenti è Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni ha lame sempre più affilate per diventare la leader dell’intero centrodestra. Ha i voti, gode di una posizione che dall’opposizione le regala grande libertà ed esercita un dominio totale sul suo partito. Unico lato debole: il suo candidato al Comune di Roma si è dimostrato tragicamente al di sotto delle attese, e se fosse sconfitto la colpa sarebbe solo sua. Del resto, lei potrebbe sempre rinfacciare a Salvini la sorte del candidato sindaco di Milano.

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