Immigrazioni, le fragili regole dell’Europa

MONDO. «Liberi di partire, liberi di restare», recitava il titolo di un’iniziativa
di solidarietà promossa qualche anno fa dalla Conferenza Episcopale Italiana come risposta concreta alle sfide delle migrazioni contemporanee, ripresa anche da papa Francesco.

C’è un diritto a emigrare e un diritto a rimanere nella propria terra, senza essere spinti a un esodo per la carestia, le epidemie, la guerra (le tre sciagure dell’Apocalisse). Il Piano europeo di migrazione e asilo presentato dalla commissaria svedese Ylva Johansson (Stoccolma ha la presidenza di turno) in vista del Consiglio europeo di fine mese - Patto sul quale ieri è stato raggiunto l’accordo - e nato per fronteggiare l’emigrazione illegale nel Mediterraneo e nell’area atlantica, va in questa direzione? A ben vedere si propone di spostare semplicemente i confini dell’Europa sulla sponda del Maghreb per impedire le partenze. Ma è già un bel passo avanti nell’evitare che uomini, donne e bambini continuino ad affogare (abbiamo ancora negli occhi l’immagine straziante del corpicino della bambina senza nome che galleggia tra i flutti al largo di Sfax, in Tunisia). Dopo otto anni di confronti inconcludenti, dunque, forse ci siamo. Se verrà approvato, finalmente l’Europa riconoscerà che quello delle migrazioni è un problema che va affrontato in senso comunitario e non in ordine sparso, lasciando il cerino in mano ai Paesi del Mediterraneo come avviene oggi. Ma il principio di solidarietà degli Stati comunitari resta volontario, tanto è vero che i Paesi di Visegrad, Polonia in testa, minacciano di non approvare il Patto.

Chi non accoglie i migranti potrebbe dare «supporto operativo» o pagare una sorta di sanzione-contributo di 22 mila euro a migrante (e sarebbe curioso capire con che criterio è stata calcolata questa cifra, questa sorta di «capitale umano»). Ma Orban e gli altri non ne vogliono sapere.

La premier Giorgia Meloni, rincuorata dalle dichiarazioni di collaborazione del cancelliere Scholz, che parla addirittura di un asse Italia-Germania, sta comunque facendo la sua parte per cercare di convincere gli Stati membri a collaborare. Anche la sua visita in Tunisia va in questa direzione. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha spiegato che «il nostro Paese continua a non puntare sullo strumento della relocation perché non si è rivelato un meccanismo solidale così come concepito». Piuttosto l’Italia si aspetta un cambio di passo da parte dell’Europa soprattutto nell’ambito dello stop alle partenze, «unica vera soluzione al problema delle migrazioni in Africa».

Il Piano si fonda su due pilastri. Il primo pilastro mira appunto a impedire le partenze irregolari, con lo scopo dichiarato di salvare le vite umane, lavorando a stretto contatto con i Paesi partner. Nulla di nuovo in questo senso, sono anni che se ne parla. Tutto questo però si scontra con la legislazione italiana, che tende a penalizzare chi cerca di soccorrere i naufraghi. Nei piani precedenti e nei vari report della Commissione europea c’era persino l’istituzione di agenzie del lavoro «in loco» per valutare la possibilità di un’emigrazione regolare, mai attuata. Dunque via agli accordi con alcuni Paesi dell’altra sponda come Marocco, Senegal, Mauritania e Gambia.

Il rafforzamento della gestione delle frontiere mira prima di tutto a fronteggiare il traffico di esseri umani, attraverso la cooperazione con l’agenzia Frontex (che ha sede, paradossalmente, in Polonia, a Varsavia), più volte coinvolta in operazioni di respingimento verso la Libia. L’obiettivo è dunque quello di impedire il transito e bloccare le rotte, limitando il più possibile l’accesso alla procedura d’asilo in Europa.

Il secondo pilastro riguarda le procedure di rimpatrio e il rafforzamento delle procedure di salvataggio. Alleluia. Ma la strada da fare per risolvere la questione epocale delle migrazioni è ancora lunga. Ed è tutto da dimostrare che gli Stati membri collaborino sul fronte dell’accoglienza e del salvataggio. Bisognerà insistere sul piano dei corridoi umanitari, mentre i rimpatri (quasi sempre in Tunisia) restano difficili, costosi e spesso non rispettosi di quel diritto naturale a emigrare di cui abbiamo parlato all’inizio. Tutti d’accordo sul rafforzamento di Frontex. Ma sulla multa di 22 mila euro naturalmente esistono le critiche più dure. «Se concordiamo un approccio comune sulla migrazione saremo tutti vincitori, compresi i migranti, perché nessun Paese può fare da solo, i dibattiti nazionali cercano invece di dipingere uno scenario da vincitori e perdenti», ha dichiarato la commissaria. Bellissime parole. Ma che finora hanno finito per naufragare alla prova dei fatti.

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