Integrazione nell’Ue, la lezione polacca

IN EUROPA. Riposizionare la Polonia sul percorso europeo, dopo otto anni di scivolate populiste e ultranazionaliste, non sarà affatto facile. Le resistenze interne sono veementi e non lasciano presagire nulla di buono.

Il neo premier riformista Donald Tusk, già presidente del Consiglio europeo (2014-2019), dovrà coabitare perlomeno ancora per 15 mesi con il Capo dello Stato, Andrzej Duda, che potrà porre il veto ogni qualvolta lo desideri, per bloccare le iniziative dell’Esecutivo. Il rischio dello scontro istituzionale è dietro l’angolo con l’aggravante che le piazze rimangono inquiete, poiché gli sconfitti delle legislative dell’ottobre scorso non si ritengono tali. Anzi, come già fatto da Trump per le presidenziali Usa del 2020, agitano irresponsabilmente lo spettro dell’imbroglio e della cospirazione.

La prima domanda da porsi è: per quali ragioni, dal 2015 al dicembre 2023 con il duo Morawiecki-Kaczynski al timone, siano stati compiuti così tanti passi all’indietro in un Paese, che, dopo l’adesione all’Unione nel maggio 2004, ha ricevuto i maggiori fondi strutturali Ue? La Polonia, lo ricordiamo, è stata letteralmente ricostruita grazie ai soldi comunitari. Europa e Stati Uniti volevano in questo modo saldare il debito morale contratto per averla abbandonata tra le grinfie di Stalin nel 1945.

L’adesione all’Ue, e soprattutto alla Nato, oggi ancor più lodata visto quanto succede nella vicina Ucraina, ha anche significato per Varsavia uscire da quel vicolo cieco geopolitico che ha provocato continue perdite di sovranità per due secoli. A conclusione dell’«epoca d’oro» dei primi due mandati di Donald Tusk (2007-2014), quando il Pil cresceva a ritmi del 5% annuo, la società liberale polacca riteneva che i decenni bui erano ormai alle spalle, tirando giù la guardia.

Non si era però resa conto che soprattutto nelle province le differenze con le città erano diventate rimarcate e ampie fasce della popolazione si sentivano escluse dal «boom europeo» e in difficoltà rispetto alle nuove aperture filosofico-politiche contemporanee. Il duo Morawiecki – Kaczynski ha rappresentato per 8 anni proprio questo mondo, ultraconservatore, di conseguenza euroscettico, che già nel 2004 non era pronto all’abbraccio con l’Ue. Non pronto perché essere parte di una comunità - in questo caso organizzazione libera come l’Unione europea e non «camicia di forza» come il Comecon – significava cedere diritti o concordare aspetti delicati e adeguarsi alle regole comuni. Morawiecki-Kaczynski hanno, invece, attaccato in patria lo stato di diritto, una delle fondamenta della «Casa europea», ricevendo denunce di infrazioni a livello comunitario e vedendosi congelare da Bruxelles copiosi fondi.

Nei primi giorni del nuovo mandato, tanto per cominciare, Donald Tusk è immediatamente intervenuto per liberare i mass media di Stato dall’«occupazione» delle forze nazional-populistiche e per riconsegnare l’indipendenza alla magistratura rispetto al potere politico. I Ventisette hanno risposto scongelando diversi miliardi di euro di fondi.

Il lavoro del neo premier è, tuttavia, solo all’inizio. Tusk dovrà soprattutto non dimenticare che alle legislative di ottobre c’è voluta un’affluenza record alle urne per riportarlo al Governo e che le resistenze alle sue politiche sono forti. Una lezione va tratta dalle vicende polacche: attenzione ad integrare troppo velocemente, per ragioni geopolitiche, Paesi che non condividono appieno gli ideali europei, perché poi sono dolori. Per l’Italia poter dialogare con una Polonia nuovamente europeista è davvero un’ottima notizia.

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