Italia e Francia amiche nemiche

La visita di Stato in Francia del presidente Sergio Mattarella dà lo stigma dell’ufficialità al ritrovato ruolo dell’Italia nella politica europea. Dei transalpini è nota l’arroganza. Messa in numeri, si esprime così: dal 2006 al 2017 la campagna acquisti sul mercato italiano è valsa 52 miliardi. Nel solo 2016, secondo dati Kpmg, vi sono state 34 acquisizioni di aziende italiane da parte di investitori francesi. Anche gli italiani si sono dati da fare in terra francese. Atlantia ha rilevato l’aeroporto di Nizza, Lavazza ha fatto proprio il marchio Carte Noire, Campari ha rilevato Grand Marnier.

Ma la differenza sostanziale è che l’imprenditoria italiana è costretta a mirare solo a obiettivi circoscritti e a carattere aziendale. Se il Made in Italy osa entrare in settori strategici, subito scatta il veto dello Stato francese. De Benedetti nel lontano 1988 voleva scalare Société Générale ed ha dovuto arrendersi ai no di Parigi. Niente di industriale. Solo politica. In Francia non si passa senza chiedere il permesso. Il mercato unico, nell’esagono, prima che europeo è francese.

Il protezionismo dello Stato francese è emerso anche recentemente con il tentativo di Fincantieri di acquisire l’ ex Chantiers de l’Atlantique dalla coreana Stx. Niente da fare: quello che viene concesso ai sudcoreani non può realizzarsi con gli italiani. Vi era già l’accordo con il presidente François Holland, ma il successore, Emmanuel Macron, azzera tutto. Un atteggiamento che genera irritazione nell’opinione pubblica italiana e che striscia come un fiume carsico. Riemerge prepotentemente nel febbraio del 2019 quando Luigi Di Maio, accompagnato da Alessandro Di Battista, andò in Francia e salutò un capo della rivolta dei gilet gialli con queste parole: «Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi». La ribellione che ha scosso la Francia per mesi cova ancora sotto la cenere ed è una ferita aperta per la presidenza Macron.

La visita di Mattarella serve a rassicurare il vicino sui toni della politica estera italiana. Il nuovo corso del governo Draghi promette meno scena e più sostanza. Prima di tutto in Libia, dove i francesi hanno tentato, a partire dal 2011, di scalzare gli italiani in una maniera poco rispettosa della comune appartenenza all’Unione europea, di cui i due Paesi sono addirittura membri fondatori. E cosi tra i due litiganti la Germania, con la conferenza di Berlino, ha potuto ritagliarsi un ruolo di mediatore su uno scenario, quello mediterraneo, che di per sé non le compete. Si evidenzia dunque la debolezza della strategia transalpina. Cercare di far dell’Italia un solo boccone e tamponare le debolezze strutturali della Francia con l’incorporazione del meglio delle strutture economiche e strategiche di un Paese, il nostro, in evidenti difficoltà. Il contrario di quello che ci si aspetta dagli amici. Non è dunque un caso che il presidente Draghi abbia compiuto la sua prima visita all’estero proprio in Libia.

Al contempo il governo italiano rafforza la politica europeista e atlantica. Basti leggere il messaggio del presidente Mattarella a Joe Biden nell’anniversario del 4 luglio dell’indipendenza americana per capire che la nuova frontiera strategica è il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente. Temi cari all’attuale amministrazione democratica e argomenti per indurre Washington ad esercitare quella pressione politico-militare nel Mediterraneo a fronte della quale non solo la Turchia, ma anche la Francia di Macron devono fare un passo indietro.

L’Italia di Draghi è ancora troppo debole per far valere a pieno il suo peso e tuttavia sufficientemente forte per far capire che il vento non soffia più nelle vele delle ambizioni francesi.

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