La Bielorussia abbandonata
chiede solo elezioni vere

Per la sesta domenica consecutiva le strade di Minsk, capitale della Bielorussia, hanno assistito alle manifestazioni pacifiche degli oppositori e all’intervento, spesso brutale, delle forze di sicurezza che il presidente Lukashenko lancia contro i cortei che inalberano la bandiera bianco-rosso-bianca. Le letture che in Occidente si danno di questa crisi sono quasi sempre inutilmente arzigogolate. E lo sono sia quelle di chi segue le proteste con simpatia sia quelle di chi, invece, le osteggia. Non è vero che la crisi della Bielorussia ricorda quella della Polonia degli anni Ottanta o quella dell’Ucraina dell’Euromaidan del 2014. Per una ragione molto semplice: non c’è, nelle proteste di Minsk, quel marcato tono anti-sovietico o anti-russo che ha caratterizzato gli eventi di Danzica e di Kiev.

E non c’è nemmeno un catalizzatore politico netto e preciso come furono Solidarnosc in Polonia o l’Unione Europea (più il nazionalismo) in Ucraina. Al contrario: il più attrezzato rivale di Lukashenko era quel Viktor Babariko che fu arrestato prima del voto. Un banchiere (al vertice della filiale bielorussa della russa Gazprombank) da tutti considerato vicino al Cremlino.

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