La campagna dei tagli, promessa mancata

Italia. Lotta dura senza paura alle accise. Sforbiciare senza pietà. Purché si stia all’opposizione.

Poi, quando si governa, si sa, si ha a che fare con la dura legge dei bilanci, le cose cambiano, le forbici si inceppano e il governo non fa sconti. L’anno nuovo inizia con il ripristino delle famigerate imposte sui carburanti, per non parlare dell’Iva che si portano appresso, così che il costo di benzina e gasolio è tornato al livello di primavera, prima che Draghi ci desse un piccolo, ma significativo taglio. Molti se ne sono già accorti, visto l’aumento considerevole dei prezzi, arrivato a superare gli 1,8 euro al litro per la benzina e 1,9 euro al litro per il gasolio (un aumento medio di 10 euro per ogni pieno).

Si stima che la reintroduzione delle accise sul carburante avrà un impatto pari a 5 miliardi di euro sulle tasche degli italiani per il 2023 e inciderà dello 0,4% sull’inflazione. Fortunatamente, per il momento, la reintroduzione delle accise è stata compensata dalla diminuzione del prezzo netto del carburante, grazie all’abbassamento delle quotazioni del petrolio al barile. Ma non è detto che sia finita qui.

E pensare che sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni facevano del taglio delle accise un cavallo di battaglia. Su YouTube è ancora presente (almeno fino a ieri) un video in cui il segretario della Lega illustra su un manifesto alcune voci anacronistiche che fanno parte di quest’imposta colpevole di mangiarsi oltre la metà del prezzo alla pompa: dal finanziamento della guerra d’Etiopia alla ricostruzione delle zone soggette al disastro del Vajont, dal terremoto del Belice a quello del Friuli e dell’Irpinia, fino all’alluvione di Firenze, alla missione militare in Libano del 1983 e alla crisi di Suez del 1956. Si vede il segretario che con un pennarello cancella le otto voci dichiarando che in caso di vittoria alle elezioni vi sarà un taglio deciso e irreversibile. Quelle risorse andranno ai cittadini, che li spenderanno per acquistare prodotti e servizi e innescare il ciclo virtuoso consumi-produzione-lavoro.

Era il 2018, un’era geologica fa. Ma anche Giorgia Meloni aveva criticato duramente le perfide accise. Nel giugno del 2019 la leader di Fratelli d’Italia scriveva su Twitter che «abbassare se non abolire alcune folli e anacronistiche accise che gravano sugli automobilisti sarebbe un atto di civiltà». Lo scorso 15 marzo, allora leader dell’unica forza di opposizione, aveva invitato il governo Draghi a intervenire contro i rincari energetici: «Il governo riduca subito accise e Iva e colpisca subito chi specula sul caro benzina». E il bello è che il premier di allora era effettivamente intervenuto con un decreto legge che tagliava di 25 centesimi al litro le imposte sui carburanti, prorogandolo varie volte e allungando così la durata del taglio. Il governo Meloni invece li ha ridotti, fino ad abolirli completamente. Si torna ai prezzi pre-Draghi.

Uno dei motivi che si adducono per ripristinare i tagli è che lo Stato facendo risparmiare sulle accise avvantaggia tutti, ricchi e poveri, senza distinzioni, dimenticando che non vale il contrario, poiché non esistono facilitazioni per i meno abbienti. La verità è che il serbatoio dei contribuenti che ogni mattina si mettono al volante è troppo comodo e diretto perché lo Stato non ne sia invogliato ad approfittare. L’attuale governo non fa altro che comportarsi come tutti gli esecutivi precedenti dai tempi della guerra d’Etiopia, che è del 1936. Ma oggi siamo nel mezzo di una tempesta energetica e non è detto che i produttori dell’Opec se ne stiano lì fermi a guardare gli avvenimenti. Che succede se assistiamo a una fiammata dei prezzi del carburante? Meglio non pensarci.

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