La chiarezza di Mattarella e l’omissione di Meloni

POLITICA. Quest’anno è la prima volta che una presidente del Consiglio, espressione di una storia di destra ex missina, si sia trovata a commemorare una strage che è storicamente e giudiziariamente attribuita ai movimenti dell’estremismo neo-fascista (o «nero» in contrapposizione a quello «rosso» di derivazione comunista).

L’attesa per come Giorgia Meloni avrebbe parlato del 43° anniversario della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (85 morti, centinaia di feriti) si è tramutata in polemica nei suoi confronti per aver lei, nelle sue dichiarazioni pubbliche, omesso la parola «fascista»: ha parlato genericamente di terrorismo, di ricerca della verità, di solidarietà a Bologna e alle famiglie delle vittime ma non ha mai indicato esplicitamente la matrice della strage. Tantopiù motivo di attacchi, la posizione della premier, perché dissonante rispetto a quanto hanno detto sia il presidente della Repubblica che quelli del Senato e della Camera.

Da notare: le parole di Mattarella sono state quest’anno particolarmente dure perché, dopo aver ricordato che «la matrice neofascista della strage» è ormai acclarata, si è scagliato contro gli «ignobili depistaggi» da parte di «agenti infedeli» di parti dello Stato. Tanto aspre le espressioni del Capo dello Stato da far sorgere il sospetto di un suo tentativo di «compensare» la ritrosia della Meloni, evidentemente prevista. Con il risultato però di evidenziare la differenza di toni.

Tanto più se si considera che persino La Russa si è spinto a riconoscere che ormai su Bologna c’è una verità giudiziaria assestata, e cioè che la «matrice fu neofascista». La Russa fu militante missino proprio nella Milano degli anni ’70 quando rossi e neri si massacravano nelle piazze con morti e feriti da una parte e dall’altra e quando la cosiddetta «strategia della tensione» - che fu prima stragista e neofascista e poi brigatista-comunista - insanguinava l’Italia: tanto più significativa dunque la sua ammissione che però ancora una volta ha messo in luce l’omissione di Giorgia Meloni. Anche i ministri hanno usato parole chiare: lo ha fatto quello dell’Interno Piantedosi (tornato a rappresentare il governo a Bologna, città dove fu prefetto fino al 2018) che ha parlato di «riconoscimento della verità giudiziaria» e il Guardasigilli Nordio che ha ricordato «la ferita aperta dalla strage neofascista».

C’è però da notare che Giorgia Meloni nella sua dichiarazione, considerata omissiva, ha ricordato una cosa importante, e cioè che il governo sta lavorando per accelerare la desecretazione degli archivi statali (ieri su questo, il voto della Camera sulla base di una mozione della maggioranza, primo firmatario il presidente della Commissione Cultura Mollicone, FdI) già decisa a suo tempo dai governi precedenti – il primo fu quello di Matteo Renzi a proposito di Ustica.

Le opposizioni hanno attaccato alzo zero la presidente del Consiglio – dalla Schlein a Conte, da Fratoianni all’Anpi – unendosi ai rappresentanti delle famiglie delle vittime della strage del 2 agosto i quali, d’accordo con il sindaco di Bologna Lepore, temono che si arenino le nuove iniziative giudiziarie a carico di Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, i due estremisti neri riconosciuti dai tribunali come il quarto e quinto uomo del gruppo degli esecutori materiali della strage.

Anche il segretario di Forza Italia Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha detto che non c’è più alcun dubbio sul fatto che a mettere la bomba furono i fascisti, ma che «la verità ancora non è pienamente conosciuta» a proposito dei mandanti e delle cause che portarono alla morte di ben 85 persone (la più piccola aveva tre anni, il più anziano 86). Tajani probabilmente allude ad alcune tesi interpretative, valorizzate ormai da diversi storici anche di sinistra, che mettono sotto la lente alcune dinamiche internazionali sia pure coinvolgenti l’estremismo neofascista. Ma sono piste di cui i familiari delle vittime non vogliono neanche sentir parlare perché temono che esse siano motivo di ulteriori depistaggi dopo i tanti che si sono verificati in questi quarant’anni.

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