La Cina convitato di pietra a Hiroshima

IL COMMENTO. Lungo termine. L’essenza del G7 di Hiroshima sta tutta in queste due parole. Da un lato, impegnandosi in ulteriori sanzioni contro la Russia, preparando nuovi programmi di aiuto finanziario per l’Ucraina e decidendo di fornire alle sue forze armate i caccia F-16 (con relativo addestramento dei piloti), Usa, Italia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Canada hanno mostrato in concreto di voler aiutare la causa del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj (che infatti ha parlato di «decisione storica») fino a quando sarà necessario. Senza limiti di tempo, nella massima misura possibile.

Era quanto cercava il presidente Zelens’kyj, arrivato in Giappone per mostrare al mondo (tutt’altro che allineato, come si è visto con la tiepida accoglienza che gli aveva riservato il giorno prima la Lega araba) e agli ucraini che l’Occidente non è stanco di appoggiare la causa di Kiev. E anche per perorare la causa dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, il passaggio che, dopo la vittoria militare sulla Russia, più sta a cuore all’attuale dirigenza e allo stesso popolo ucraino.

Ma il lungo termine vale anche per il convitato di pietra di questo G7. Che non era la Russia ma piuttosto la Cina. Tutto quanto è stato politicamente detto a proposito del conflitto tra Russia e Ucraina, dal cosiddetto «imperialismo russo» alla necessità di rinforzare l’apparato di difesa occidentale, può essere trasferito pari pari al cosiddetto «espansionismo cinese» e ai rischi di un conflitto intorno all’isola di Taiwan.

Non è certo un caso se, a margine del G7, a Hiroshima si è riunito anche il Quad, ovvero il patto tra Usa, India, Australia e Giappone nato proprio per tenere a freno le ambizioni cinesi in Asia. A Pechino lo hanno capito benissimo, tanto che il ministero degli Esteri cinese ha emesso una dura nota in cui si dice che «il G7 ha insistito nel manipolare le questioni relative a Taiwan, diffamando e attaccando la Cina e interferendo in modo grossolano nei suoi affari interni».

Per parte sua, il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, in contemporanea con il G7, ha organizzato a Pechino un incontro con i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, cioè dei Paesi dell’Asia Centrale che, nell’attuale turbolenza globale, diventano sempre più importanti per le rotte commerciali e per le forniture di metalli essenziali, gas e petrolio.

Il che lancia un duplice messaggio: all’Occidente, la Cina mostra di non voler recedere di un millimetro dall’attivismo diplomatico ed economico che l’ha portata a conquistare spazi importanti anche in Africa e, più di recente, in Medio Oriente; alla Russia, fa capire che il silente appoggio alla sua causa ha un prezzo, in questo caso l’espansione in un’area, come è quella dell’Asia Centrale, dove Mosca da sempre esercita un’influenza importante.

Tutto questo ha conseguenze importanti per l’Italia, unico dei grandi Paesi europei ad aver aderito al progetto cinese della Nuova via della Seta, decisione sempre più difficile da sostenere nel mutato quadro politico, ma difficile anche da rinnegare visto che l’export italiano verso la Cina non fa che crescere e si è triplicato nel giro di un anno.

Ma schiude prospettive complesse per l’Europa intera: se i rapporti con la Cina dovessero peggiorare, il blocco Mosca-Pechino finirebbe per consolidarsi ancor più. E la posta salirebbe ancora.

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