La Cina e la (nuova) questione tedesca

Incredibile a dirsi ma in queste ore l’osservato speciale nelle cancellerie di tutto l’Occidente non è l’Italia, bensì la Germania. A partire da oggi, infatti, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz è in visita ufficiale in Cina, diventando così il primo leader di un Paese del G7 a incontrare di persona il presidente Xi Jinping in un bilaterale nella Repubblica Popolare da quando è iniziata la pandemia nei primi giorni del 2020. Scholz, prima di partire, ha provato a precisare i contorni di questa sua missione, con un intervento pubblicato sia in lingua tedesca che in lingua inglese.

Titolo e sintesi: «Non vogliamo disaccoppiarci dalla Cina, ma non possiamo essere troppo dipendenti da lei». Una formula a effetto che però non è bastata a rassicurare tutti. Perché più delle parole contano i fatti. Come quelli assurti agli onori delle cronache internazionali proprio negli scorsi giorni, riguardo la sorte del porto di Amburgo, il più grande della Germania e il terzo in Europa dopo quelli di Rotterdam e Anversa.

Piccolo passo indietro: nel 2021 il colosso del trasporto navale cinese Cosco aveva avanzato un’offerta per acquisire una partecipazione del 35% in uno dei tre terminal del porto controllati dal big della logistica tedesca HHLA. Nelle scorse settimane, la coalizione che in Germania sostiene l’attuale governo si è divisa sul dossier, con Verdi e Liberali fortemente contrari ad aprire le porte di un’infrastruttura strategica a un regime da loro considerato autoritario e rivale, ma alla fine il cancelliere Scholz ha strappato dai suoi alleati il via libera all’investimento cinese, seppure in una quota un po’ ridotta (25 per cento) del terminal.

Difficile stupirsi, dunque, se per il Financial Times, quotidiano inglese prediletto dalla finanza globale a trazione anglosassone, la missione in solitaria di Scholz dimostra che «la Germania sta incontrando difficoltà con la propria dipendenza dalla Cina». Le Monde, autorevole giornale d’Oltralpe, è ancora più tranchant: «A che gioco sta giocando la Germania?», si è chiesto in un editoriale in cui si legge tra l’altro che «mentre l’Unione europea cerca di prendere una qualche distanza da Pechino, Berlino sembra privilegiare il «business as usual». Anche il Commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, si è rivolto a Scholz attraverso una intervista all’agenzia di stampa Reuters: «È molto importante che l’atteggiamento degli Stati membri nei confronti della Cina si modifichi in modo più coordinato – ha detto Breton – e non invece a partire da scelte di singoli Stati come la Cina ovviamente desidererebbe».

Il timore, in sintesi, è che Berlino non riesca a mettere in discussione il rapporto simbiotico tra la propria economia e quella cinese, nonostante la Cina di oggi non sia più quella di soli tre anni fa. Come dimostrano, sul fronte interno, la stretta di Xi sul Partito-Stato e quella sui diritti anche attraverso la politica zero-Covid, oppure in politica estera la maggiore assertività rispetto a Taiwan e il sostegno alla Russia di Putin. D’altronde è come se ci fossero almeno due Scholz diversi. Il primo è quello convinto che la Germania debba continuare a commerciare con la Cina come nulla fosse perché «si balla con chiunque si trovi nella stanza – diceva nel 2018 – È un principio che vale per la politica mondiale così come per la discoteca del piccolo Paese». Il secondo Scholz è quello secondo cui «non si mettono tutte le uova nello stesso paniere - sempre parole sue - vale per le importazioni, per le esportazioni e per le catene globali del valore». Quale dei due Scholz prevarrà nel rapporto col colosso cinese è nell’interesse dell’Europa capirlo il prima possibile.

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