La crisi di governo
indecifrabile e surreale

Ogni giorno ha la sua croce e fortunato chi ci capisce qualcosa. I cittadini sono le prime vittime di una crisi surreale e incomprensibile: ma in quale mondo siamo capitati? Solitamente a Ferragosto l’Italia con i capelli bianchi si rifugiava nella nostalgia del celebre film «Il sorpasso» di Dino Risi, con Gassman e Trintignant. Ma nell’estate dell’«anno bellissimo» del nazionalpopulismo ci si deve chiedere: chi sorpassa chi? Salvini ha effettuato il sorpasso o è stato sorpassato?

I grillini, oltre che spiaggiati, sono in fase di sorpasso o no? E che dire di Renzi, il ragazzaccio reprobo della sinistra che, riemerso dal sotto traccia, ha compiuto la mossa del cavallo spiazzando tutti, a cominciare dal suo partito, riaprendo i giochi e fermando l’annunciata marcia trionfale di Salvini? Un guastatore, l’architetto di alleanze spurie e indicibili o piuttosto un puntuale guastafeste di Salvini? La sensazione è che il principale avversario del leader leghista non sia solo l’ipotetica alleanza ibrida fra i nemici di ieri (Pd, 5 Stelle e peones vari), ma soprattutto egli stesso: quando il titolare di un ministero chiede gli improponibili «pieni poteri» è, nella migliore delle ipotesi, già succube di un’esagerata autostima, disconnesso dalla realtà istituzionale. Nel decidere di staccare la spina, non ha probabilmente ponderato tutte le varianti, innescando un meccanismo fatto di eccessi e forzature che gli sta sfuggendo di mano.

Un’eco s’è avuta ieri con la presa di distanza di Giorgetti, uno che conta: «Sulla crisi ha deciso il capo, ma forse era meglio rompere prima». Salvini, giocando la carta dello spariglio (pronti a votare il taglio dei parlamentari e poi subito al voto), ha provato a uscire dall’angolo sparando però a salve: il Quirinale lo ha subito stoppato. La riduzione del numero dei parlamentari, una misura in puro stile anti casta, è l’ultima ridotta grillina per poter reggere l’urto del proprio elettorato, per fargli digerire la giravolta dell’alleanza con i dem. Come sostiene il costituzionalista Giovanni Guzzetta sul «Foglio», «ciascun attore vive nell’incertezza di non poter percepire le conseguenze dei propri atti politici». Del resto assistiamo alla fiera dei paradossi: si discute di nuovi governi senza che la crisi sia stata ancora formalizzata, il Paese non conosce le ragioni della rottura, Conte non è ancora salito al Colle per rimettere il mandato, Salvini non lascia il Viminale e neppure ha ritirato la delegazione della Lega.

Si ragiona persino di un arco temporale che abbraccia il 2022, l’anno in cui si decide il successore di Mattarella, eppure dal cilindro potrebbe uscire pure un Conte bis: indietro tutta, c’eravamo sbagliati. Del resto quel che si afferma oggi viene smentito all’indomani. Tuttavia una delle poche certezze riguarda l’opzione di un governo per contenere l’offensiva salviniana e per tenere in sicurezza i conti pubblici. Una partita difficile e controversa, tutta da costruire. L’apertura di Renzi a una trattativa per evitare le elezioni è stata più subita che cercata da Zingaretti. Il segretario tiene le carte coperte e il piede in due scarpe in attesa delle consultazioni. Dice che il Pd è sempre pronto al voto, ma il progetto iniziale di Renzi, cioè un governo istituzionale salva-conti, sta maturando verso un governo di legislatura, ovvero un esecutivo politico con un’identità di programma.

Un orizzonte, quest’ultimo, impegnativo e discutibile per l’oggi, in quanto supera l’urgenza di uscire dal caos attuale affidandosi ad un ribaltone vero e proprio. Preoccupazioni legittime e reali per il Sistema Italia, perché in definitiva la tabella di marcia è dettata da una legge di bilancio onerosa e impopolare, ma anche calcoli di convenienza. Da un lato, si afferma, occorre far di necessità virtù e se il gioco si fa duro abbracciamo il «meno nemico» per stabilizzare il Paese. Dall’altro il contrasto è spettacolare: ecco i grillini, in caduta libera e in fase di capriole fra opportunismo e dilettantismo, soccorsi proprio dalla loro vittima più illustre. C’è un problema serio di credibilità non per il governo istituzionale dettato dall’emergenza, bensì per il governo di legislatura: può darsi che le distanze fra Pd e 5 Stelle siano destinate a ridursi, ma la reciproca ostilità è per così dire antropologica, riguarda l’idea di società e il senso della democrazia.

I tempi sono strettissimi per una prospettiva che invece richiederebbe di maturare, di essere discussa ed elaborata nel corpo vivo dei due elettorati. Ma poi di quale Pd stiamo parlando? Ce ne sono almeno due: quello dei gruppi parlamentari in mano ai renziani e quello del vertice del partito gestito da Zingaretti. Sullo sfondo di questa asimmetria resta l’enigma del divorzio dell’ex premier. Dunque, calma e gesso in attesa dell’arrivo dell’arbitro, Mattarella, una garanzia per tutti. Nel frattempo, smarriti in queste alchimie, si può sempre rivendicare il diritto di non capire. Anche questo è un danno collaterale dei prodigi del populismo.

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