La legge di bilancio la prova del fuoco

ITALIA. La legge di bilancio che il ministro Giorgetti si appresta a presentare in Parlamento sarà per il centro-destra insieme la prova della verità e la prova del fuoco.

L’anno scorso, appena insediata a Palazzo Chigi, la Meloni s’era trovata stretta dai tempi della sua elaborazione e perciò con le mani legate, impossibilitata a dare un segno importante della svolta rappresentata dal primo governo di destra-destra dell’era repubblicana. Ora non più. È venuto il momento della verità.

Si capirà presto se l’impostazione marcatamente populista seguita da Fratelli d’Italia ai tempi dell’opposizione è stata davvero abbandonata o se invece continua a inquinare l’azione del governo.

La legge di bilancio sarà anche la prova del fuoco della leadership Meloni. Si capirà infatti se la premier ha la forza di tenere a bada gli alleati nel loro assalto alla diligenza con richieste di spese ed elargizioni erga omnes insostenibili. Due per tutte: l’aumento dei minimi pensionistici sostenuto da Forza Italia e la maggiorazione della flat tax ad autonomi - con per di più, l’allargamento ai lavoratori dipendenti - pretesa dalla Lega. L’opposizione attende giustamente la maggioranza al varco.

È un suo dovere istituzionale controllare l’azione del governo, ma al contempo è un suo dovere politico qualificarsi come forza di governo. L’opinione pubblica desumerà dalle sue critiche alla proposta di bilancio del governo qual è la sua offerta alternativa: prova, questa, della sua credibilità politica.

Alle opposizioni non basterà battere il chiodo sul salario minimo, l’unica misura che al momento riesce a unificare Pd, M5s, Sinistra di Fratoianni e la stessa Azione di Calenda.

Né può pensare - tutta l’opposizione insieme - di poter sfuggire alle proprie responsabilità con l’insistere genericamente sul bisogno di finanziamenti alla scuola, alla sanità, al sostegno ai redditi dei lavoratori e di sussidi per compensare l’erosione dei redditi da parte dell’inflazione.

A costi aggiuntivi vanno indicate coperture aggiuntive, a meno di voler abbracciare la soluzione populista di non curarsi del disavanzo procurato, insostenibile per i conti statali; il che metterebbe a repentaglio la tenuta sui mercati del nostro colossale debito pubblico.

Sarà la prova della verità in particolare per la Schlein. Finora Elly si è barcamenata tra il rincorrere e lo stoppare l’iniziativa dei grillini, mettendo in tal modo il suo partito in una posizione ambigua. Al punto che non si capisce se sarà il M5S a finire junior partner del Pd o se, viceversa, sarà il Pd ad essere grillizzato.

Su alcuni temi identitari, su cui al tempo delle premiership di Renzi e di Gentiloni il partito aveva puntato (atlantismo, sostegno senza riserve all’Ucraina, jobs act, politiche attive del lavoro in alternativa all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza) la segretaria dem ha nicchiato o addirittura ha fatto retromarcia. Ha avallato infatti la linea pacifista di Conte. Resta evasiva sul superbonus: una misura insieme devastante sul piano finanziario e regressiva su quella sociale. Ha creato una voragine nei conti pubblici e al contempo ha realizzato la più colossale redistribuzione dai poveri verso i ricchi, non solo proprietari della prima, ma anche della seconda casa.

Maggioranza e opposizione di fronte alla legge di bilancio non hanno più alibi e gli elettori chiamati a votare in primavera per le Europee sarà bene che guardino alla sostanza, e non si facciano abbindolare da facili promesse solo propagandistiche.

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