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ITALIA. Il punto su cui più si sta discutendo è quello del «contributo» da chiedere alle banche e alle assicurazioni.
Questa mattina alle 11 si è tenuta la seduta del Consiglio dei ministri destinata a chiudere il dibattito sulla manovra economica che da lunedì potrà essere trasmessa al Parlamento e a Bruxelles. Il punto su cui più si sta discutendo è quello del «contributo» da chiedere alle banche e alle assicurazioni. Un provvedimento voluto soprattutto dalla Lega, e non da adesso: già l’anno scorso si parlò a lungo di una tassa sugli extraprofitti delle banche procurati dall’aumento dei tassi di interesse della Bce. Finì con un prestito a tasso zero da parte degli istituti di credito all’Erario. Quest’anno si torna alla carica pensando di prelevare circa 4 miliardi l’anno per tre anni con un prelievo che dovrebbe avere un carattere strutturale e certo. Il ministro Giorgetti in realtà ha usato con l’Abi, l’associazione bancaria, toni meno ultimativi ma fuori delle stanze del Tesoro la propaganda leghista suonava comunque di tamburi di guerra: «Quei soldi servono per la sanità e per le imprese» è il motto più volte ripetuto da Salvini. Però all’interno del Governo è stato detto un «no» irriducibile: Forza Italia, ha avvertito Tajani, non voterà mai un provvedimento del genere che ricorda l’Unione Sovietica; piuttosto la proposta del vicepremier è di discutere con le banche per vedere cosa loro possono spontaneamente fare a favore del bilancio pubblico. Vedremo se e come è stato raggiunto l’accordo definitivo.
«Quei soldi servono per la sanità e per le imprese» è il motto più volte ripetuto da Salvini. Però all’interno del Governo è stato detto un «no» irriducibile: Forza Italia, ha avvertito Tajani, non voterà mai un provvedimento del genere che ricorda l’Unione Sovietica.
La Lega in ogni caso può dirsi soddisfatta per aver ottenuto la quinta rottamazione delle cartelle esattoriali per quella che Salvini chiama «la pace fiscale» - un suo vecchio cavallo di battaglia - da ottenersi però escludendo i cosiddetti furbetti, ossia coloro che chiedono la rottamazione e poi non pagano le rate.
Infine tutto il centrodestra è d’accordo sulla diminuzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33. Si tratta solo di capire quale è lo scaglione di reddito interessato, Forza Italia chiede che l’alleggerimento coinvolga i redditi fino a 60mila euro ma secondo il Tesoro costerebbe troppo; ci si fermerebbe dunque a 50mila euro, e già così il costo sarebbe di 9 miliardi in tre anni. Queste tre misure che abbiamo elencato, indicando a quale partito si debbono e quale discussione hanno suscitato, sono sicuramente i capitoli a cui la comunicazione del Governo si ancorerà per spiegare una manovra «a favore delle famiglie e delle imprese». Viceversa l’opposizione tirerà fuori il dato Istat secondo cui la pressione fiscale sotto il governo Meloni è cresciuta dal 41,7% del 2022 al 42,8 di quest’anno, un punto che vale diversi miliardi. Ma è proprio qui il nocciolo della questione: Giorgetti e Meloni si sono impegnati a tenere a bada i conti pubblici, a scendere sotto il 3% del rapporto deficit-Pil per uscire dalla procedura di infrazione, a guadagnarsi un miglior rating da parte delle agenzie internazionali e a non considerare più un problema lo spread rispetto ai bund tedeschi. E questi obiettivi sono stati raggiunti.
Quanto alla spinta alla crescita, risulta fatalmente debole, salvo i fondi che si potrebbe ricavare dalle banche e dalle assicurazioni. È per questo che da sinistra si parla di una manovra «brodino», cioè che non serve a rendere meno anemica la crescita del Pil (e per fortuna che ci sono i fondi del Pnrr). In ogni caso, la Cgil ha già annunciato lo sciopero anche se il dettaglio della manovra lo si conoscerà oggi. Landini si è infilato in una brutta polemica con la premier definendola «una cortigiana di Trump». Giorgia Meloni lo ha stroncato spiegando con un «montante rancore» del segretario Cgil l’averla definita «una prostituta», con tanto di ricorso al vocabolario Treccani. Insomma, c’è molto nervosismo nell’aria.
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